Di fronte alle sentenze della Cassazione sull’applicabilità dell’Ici alle scuole paritarie di Livorno, la politica continua a guardare al dito per evitare di vedere la luna. Il punto non è tanto l’esenzione a fini Ici per queste scuole, se sia o meno aiuto di Stato secondo la normativa europea (peraltro con l’Imu la normativa è stata finalmente chiarita dal 2012 in poi a forza anche delle battaglie ed interrogazioni che ho fatto io stessa). Il nodo centrale che va finalmente affrontato è piuttosto se l’ordinamento italiano sia conforme o meno a ben due risoluzioni europee che impongono agli Stati membri di riconoscere la libertà di scelta educativa e di insegnamento, anche con le sovvenzioni pubbliche necessarie a non discriminare organizzatori, genitori, alunni e personale di queste scuole, e ciò in perfetta armonia con l’art. 33 della Costituzione che qualche ideologo laicista continua a leggere come gli fa comodo.
In Italia genitori ed alunni che accedono al servizio pubblico erogato dalle scuole paritarie pagando una retta (senza avere spesso neppure l’alternativa di una scuola statale, come accade ad esempio per l’infanzia) subiscono un’ingiustizia economica, oltre che una violazione alla libertà d’istruzione. In fondo limitarsi al tema del trattamento fiscale sugli immobili adibiti a scuole paritarie consente di continuare a parlare d’altro. Anche se alla fine per le casse dello Stato è autolesionistico mettersi nella condizione di rischiare di perdere il cospicuo risparmio che queste scuole assicurano all’erario ogni anno, accogliendo oltre un milione di studenti con un contributo medio dello Stato pro capite pari a 1/100 del costo di uno studente che frequenta la scuola statale.
Di fatto le reazioni della politica alle sentenze della Cassazione sull’Ici hanno riproposto una prospettiva lontana dai canoni dei sistemi scolastici europei più avanzati, che vede il nostro Paese ancora impantanato in un arretrato dibattito ideologico, probabilmente dovuto al fatto che in Italia, a partire dal fascismo e per molto tempo, le scuole non statali erano soprattutto scuole cattoliche e questo ha alimentato le posizioni laiciste ed anticlericali. Ma la realtà, sappiamo, è diversa: oggi molte scuole paritarie sono comunali ad esempio.
Eppure dei piccoli passi in avanti verso l’attuazione della legge sulla parità scolastica n. 62 del 2000 voluta dal ministro Luigi Berlinguer erano stati compiuti. Vorrei ricordare che fu il governo Prodi con il ministro Fioroni nella finanziaria 2008 ad aumentare i fondi per le istituzioni scolastiche non statali nel capitolo 1477 del Miur, poi decurtati negli anni successivi dal ministro Tremonti, il quale si inventò il nuovo capitolo 1299 per far transitare parte dei fondi attraverso le Regioni, vincolandoli così al Patto di Stabilità, con tutti i problemi e i gravi ritardi nell’erogazione dei contributi che ne sono derivati in questi anni.
Solo con la legge di stabilità 2015 io e il collega Gigli siamo riusciti a ottenere che tutti i fondi per le paritarie tornassero da quest’anno nell’unico capitolo 1477 per essere erogati più tempestivamente alle scuole paritarie dagli Uffici scolastici regionali.
Ancora: nella riforma della Buona Scuola si è introdotto il principio della detrazione fiscale delle rette ed il principio del costo standard e della quota capitaria. Si tratta di principi che possono permettere un decisivo passo in avanti verso il riconoscimento dell’effettiva parità scolastica.
Perciò bene che si apra un tavolo di confronto a Palazzo Chigi per un chiarimento definitivo se non è solo sul trattamento fiscale degli immobili, ma anche sulle azioni necessarie a garantire l’effettiva libertà di istruzione in Italia, visto che il pluralismo educativo è drammaticamente arretrato: 50 anni fa le scuole paritarie erano il 27% dell’offerta educativa, oggi sono solo il 12% (incluse le materne). Per questo occorre fare presto, non c’è più tempo da perdere o altre scuole paritarie sui territori continueranno a spegnersi come luci di una cultura di cui nessuno più si cura. Sto pensando in particolare alle scuole dell’infanzia paritarie, necessarie a coprire la domanda di un servizio educativo fondamentale per migliaia di famiglie. In attesa dell’emanazione (ed attuazione) del decreto legislativo, previsto dalla riforma della Buona Scuola, per l’istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita ai sei anni, per cui serviranno almeno due anni, è necessario che il Governo intervenga quanto prima per sostenere concretamente le scuole dell’infanzia paritarie messe in grave difficoltà dai tagli subiti ed evitare così alla ripresa dell’anno scolastico un vero e proprio problema sociale in Regioni come il Veneto, dove coprono oltre il 65 per cento del servizio.