Ogni tanto qualche — non tutti — giornale italiano dà notizie attendibili sulla scuola, invece di limitarsi al solito scandalismo da No Tav.
Pochi giorni fa il Corriere ha messo sotto osservazione i voti degli esami di maturità. I risultati sono sempre gli stessi: Sud in vetta alle lodi, con le regioni “virtuose” che si alternano. Al tradizionale primato della Calabria quest’anno si è sostituito quello della Puglia, ma per il resto siamo sempre allo stesso punto: le regioni che nelle rilevazioni standardizzate esterne di Pisa ed Invalsi del secondo anno delle superiori vanno decisamente male, dopo tre anni al quinto anno della maturità risorgono trionfali dalle ceneri. La Puglia poi sta deludendo: considerata per varie ragioni negli anni passati il “bravo ragazzo” del Sud, ora peggiora nei risultati Invalsi e per di più tarocca!
Siamo divenuti pienamente consapevoli di questa realtà da quando l’afflusso obbligatorio dei dati concernenti l’esame agli uffici centrali ministeriali ed il loro rilascio ha tolto il velo su quanto si poteva intravvedere già da tempo.
Ai bei tempi in cui per la maturità insegnanti e presidi giravano l’Italia andando da Milano a Taormina, tutti i “migranti” avevano consapevolezza non solo delle pressioni raccomandatorie cui andavano incontro — e che peraltro si elidevano reciprocamente, essendo tutti raccomandati — ma anche delle pressioni ben più insidiose dei colleghi membri interni ad “alzare” i voti, nella prospettiva dei concorsi statali cui i candidati inevitabilmente avrebbero partecipato, non essendovi altra prospettiva di lavoro al di là dell’impiego pubblico.
Ma basta questo a spiegare il fenomeno? Forse la ragioni sono più numerose. Innanzi tutto la territorializzazione delle commissioni, resasi necessaria per ragioni di risparmio, ha spazzato via ogni remora. Questo dovrebbe fare riflettere coloro che pensano che la parziale esternalizzazione delle commissioni garantisca l’attendibilità degli esami: forse impedisce solo lauti guadagni ai diplomifici.
In secondo luogo — e questo è più grave — sembrano mancare metri di giudizio attendibili. Lo ha dimostrato in Pisa Italia il confronto fra i risultati delle prove e l’ultimo voto ufficiale (pagella) ricevuto dallo studente: al Sud un abisso. Forse gli insegnanti sono davvero convinti di avere dinanzi frotte di piccoli geni e chiunque abbia esperienza di scuola italiana sa che la “pedagogia dell’incoraggiamento” viene ampiamente praticata sotto Roma, mentre sopra il Po è il trionfo della “pedagogia dello scoraggiamento”. Ragioni antropologiche? Effetto dei diversi regimi solari? Del resto quando i metri di giudizio sono offerti, il Sud sembra rifiutarli: si vada a vedere cosa è successo in Sicilia e regioni limitrofe alle prove Invalsi della seconda superiore. La Buona Scuola siamo noi. E chiusa lì.
Da ultimo, una spiegazione in positivo. La scuola del Sud, contrariamente a quanto sembra pensare la nostra sinistra “tsipraseggiante”, è sostanzialmente segregante e tende a bocciare o ad abbandonare a se stesso il popolo e a privilegiare le élites sociali e culturali.
L’analisi dei dati Invalsi e Pisa mette da sempre in evidenza la maggiore equità delle scuole del Nord. Questo dualismo culturale è da sempre evidente nel Sud, che sa esprimere intellettuali raffinati (per lo più, peraltro, portatori di una cultura pre- o post-moderna) e plebe irriducibile.
In questo contesto non è improbabile che questa élite sappia dare buoni risultati, corroborati peraltro da un “desiderio di riscatto” che viene spesso citato e da una disponibilità all’impegno, anche solo in termini di trasferimenti, che sembra sempre più mancare ai privilegiati studenti del Nord.
Ma che fare se non ci si volesse rassegnare a questa che è un’evidente ingiustizia?
Tempo fa c’era chi pensava che un correttivo potesse essere l’introduzione fra le componenti del punteggio dell’esame di maturità di una prova standardizzata esterna (una sorta di terza prova centralizzata), come peraltro si fa in Germania e come si fa più modestamente da più di 10 anni nelle prove per la qualifica e il diploma dell’istruzione e formazione professionale (IeFP) in Regione Lombardia. Come si fa peraltro anche nell’esame di terza media, ma qui sta il punto. Si tratta di una prova che conta per meno del 20% del voto e che notoriamente non ha alcuna influenza sul futuro scolastico e professionale dello studente. Ma non c’è pace: da quando è stata introdotta, un settore della categoria, con significativi appoggi sindacali e mediatici, la combatte costantemente perché sottrarrebbe alla singola scuola una parte, anche se piccola, del giudizio sullo studente. La Buona Scuola siamo noi.
Ci si può solo immaginare cosa succederebbe alla maturità. Non si tratta solo di sollevamenti di piazza “anti-Troika”. Le vicende delle copiature (cheating) nelle prove Invalsi ci insegnano che la figura dell’impunito esiste anche nella Buona Scuola. Non solo sono stati diffusi i dati regionali in proposito: ogni scuola ha avuto classe per classe le percentuali di copiatura ipotizzate. Ora, è vero che alcuni licei classici del Nord ed in parte del Centro, di null’altro colpevoli che di avere (soprattutto in italiano) studenti troppo bravi che le azzeccavano tutte, sono stati ingiustamente accusati di far scopiazzare. Ma è difficile ipotizzare che la stessa cosa sia successa anche nelle altre numerosissime scuole del Sud, in cui i livelli di copiatura ipotizzata rilevati persistono. E persistono anche dopo essere stati ormai da qualche anno individuati e pubblicamente divulgati. Anche all’interno della prova di esame di terza madia che dovrebbe essere il Sancta Sanctorum dei cultori della Stato di diritto!
Una parentesi. I superesperti che stanno vergando i criteri di valutazione dei presidi stanno prendendo in considerazione il semplice e chiaro criterio del “non far copiare”?
Perciò sembra che l’unica ipotesi sensata sia quella di avviare l’esame di maturità su di un binario morto.
Da una parte con una prova completamente autonoma di competenze di base simile a quelle somministrate dal Servizio Nazionale di Valutazione per le altre annualità del percorso scolastico, che serva da punto di riferimento per chi (datori di lavoro? università?) la volesse utilizzare per capire qualcosa del giovane che ha davanti.
Dall’altra eliminando le tabelle dei punteggi, laddove ancora oggi vengono utilizzate; cioè, in ossequio alla Costituzione, considerare tutti i titoli di studio necessari per l’accesso a lavori o borse di studio o altro di carattere pubblico sullo stesso piano. Lasciando ad altri criteri l’ulteriore necessaria attività di selezione.
Eccesso di discrezionalità? Perché, quella delle commissioni di esame adesso che cos’è?