Con il passare dei giorni, più leggo le reazioni e le prese di posizione più mi convinco che la sentenza della Corte di Cassazione, incontestabile, come ho chiarito nel mio recente articolo, sia l’occasione di una grande svolta verso una nuova consapevolezza dell’importanza che possono assumere le scuole paritarie nel nostro sistema scolastico di istruzione e formazione.



Ogni attore della situazione, istituzioni, associazioni di settore, esponenti della Chiesa, si è “messo in discussione” per capire come agire e cosa proporre per trovare una soluzione che eviti un’ulteriore penalizzazione ad istituzioni scolastiche già in sofferenza, come è ben noto a tutti.

Una preoccupazione nasce dal fatto che non prendono ancora corpo proposte innovative, ma appaiono ancora “vecchie” idee, lette anche su queste pagine nel libero dibattito dei giorni, scorsi, che puntano ancora a seguire la vecchia strada, dimostratasi fallimentare, di come poter dare alle scuole la condizione di “non commerciali” e di come fare in modo che i vantaggi vadano alle scuole con gestione no profit, come se non ci fosse la sentenza dell’8 luglio o non se ne fossero lette con attenzione le motivazioni che, rammento, sottolineano che per definire un ente “commerciale” “è irrilevante l’eventuale bilancio in passivo, la natura no profit o lo scopo di lucro dell’Ente, ma sufficiente l’idoneità a conseguire ricavi anche al solo fine di pareggio di bilancio. 



Le posizioni espresse su queste pagine da Pierluigi Castagneto nel suo articolo, che condivido, evidenziano quanto questa sentenza ponga anche governo, ministro e mondo politico di fronte alla necessità di mettere allo studio una strategia d’uscita dall’empasse, tanto da aver convocato un tavolo di confronto con le associazioni di settore (speriamo tutte) per un confronto (speriamo aperto e costruttivo).

Ecco perché parlo di “svolta”. Ritengo che la partita in gioco sia più ampia e non si limiti alla sentenza, ma potrebbe essere in gioco “il principio di parità” sancito sì dalla legge 62/2000, ma spesso dimenticato anche dal legislatore, come nell’ultima legge 107 detta della “Buona Scuola”.



Il quadro è ormai chiaro: esiste un unico sistema nazionale di istruzione e formazione? Ne fanno parte con pari diritto scuole statali e scuole paritarie gestite da enti e privati? Tutte le scuole del sistema erogano un servizio pubblico? La Stato ha il dovere di agire con equità e nel caso di agevolazioni in funzione dell’esercizio di un servizio pubblico trattare tutte le istituzioni sullo stesso piano?

I quattro “sì” che rispondono a queste domande portano alla logica, giusta, equa soluzione: nessun distinguo, nessuna discriminazione, nessun favore, ma un trattamento su un piano di pari dignità: tutti gli immobili utilizzati per erogare il servizio pubblico di istruzione e formazione sono esentati dal pagamento Ici, ora Imu, indipendentemente dall’ente che lo utilizza, statale o paritario.

Una decisione in tal senso significherebbe applicare a pieno “il principio di parità” nel rispetto della legge 62/2000 che, ricordo, all’art. 1 (“Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali”) non fa nessun distinguo sulla natura giuridica dell’ente gestore.

Invito tutti coloro che hanno a cuore la scuola paritaria ad unirsi su questo principio, tralasciando differenze e possibili tentazioni di interessi di parte. La vittoria di questo principio sarebbe la vittoria di tutti per tutti e potrebbe aprire una nuova stagione di speranza per tutte le nostre scuole.