Sembra che la nascita moderna del Politico di Stato, tra i Lumi e le Nostalgie romanze del Passato, oltre alla Rivoluzione (francese) e alla Restaurazione (alemanna), abbia imposto alla scuola altri traguardi. Insieme alla querelle delle «Due Culture», nacque la disfida delle «Due Scuole» sorelle — quella del Regime Nuovo dello Stato, che si mise a competer con la Scuola del Regime Antico, confessionale e del tutto Privato —. Ma Scuola assai sentimentale e missionaria fu nel Nuovo Unitario Regno d’Italia, funzionale alle nuove religioni delle appartenenze politiche, delle emancipazioni scientifiche, degli eroi civili, delle sorti progressive, del milite guerriero, del balilla della Nuova Roma e da ultimo del culto finanziario della Crescita, verso i radiosi traguardi del discente masterizzato, globale, brillantemente e digitalmente itinerante.
Se tanti anni prima la Ragione era stata occupata con l’Oscurantismo, e la tecnologia nelle faccende della Rivoluzione (industriale), forse non rimaneva che il Cuore nazionale per amalgamare con impeto sentimentale l’uomo “avanti” e quello indietro, l’uomo vieto. Pinocchio, che non prometteva di divenir certo una spendibile Eccellenza, fu relegato definitivamente nelle favole dell’inconcludenza. L’aveva proclamato sin da allora il Ministro nostro, il De Sanctis, il Francesco Letterato: “La grande medicina era un tempo l’istruzione, e ora che l’istruzione ha reso tutt’i suoi frutti in Germania, già non basta più, e Virchow impensierito invoca una educazione nazionale. La scienza dee organizzarmi questa educazione nazionale, dee imitarmi il cattolicismo, la cui potenza non è il catechismo, è l’uomo preso dalle fasce e tenuto stretto in pugno sino alla tomba, dee imitarmi quei suoi organismi di granito, su’ quali ella picchia e ripicchia da secoli e ancora invano”.
Era l’anno 72 dell’Ottocento, e Il Deputato inaugurava l’Anno Accademico con la sua prolusione. Lo Stato, come Nuova Chiesa, come sentimento incarnato nel Dovere formativo, trovò nell’Istituzione sociale della Scuola Militante la realizzazione vitale del suo astratto catechismo, inseguendo il mito di una perenne educazione, che il totalitarismo concretizzò immediatamente e rese famigliare. Altrove, ma non lontano, qualcuno invocava il Consenso generale, la Cultura delle masse, il Blanditore Organico: e di nuovo la Scuola politica-sociale, educatrice popolare, fu asservita. Con l’Unità politica italiana nasceva dunque anche il conflitto originale dell’Italia Nuova, il suo peccato primigenio: l’irrisolta questione fra Pubblico & Privato, che nella Scuola colse una primizia e il suo primato. E come ogni dualismo, esso ancora acceca per eccesso di semplificazione, e riduce il grumo storico — contingente e problematico — a partita di pallone («cos’è il Privato e cosa lo Stato»: Gaber canta ancora in variazione il suo tormentone).
Certo, un alfabeto comune fra l’Educazione Perenne dello Stato Liberale, di poi Totalitario, e la Pedagogia Permanente del neo liberismo privato o centralizzato su base finanziaria, commerciale, missionaria, lascia adito a qualche sospetto di continuità piuttosto carsica. D’altro canto, un Primo Ministro (ma chi è poi quello vero, addetto dell’Istruzione? Chi l’Erede di tanto Gran Signore? Il Carneade Burocrate prescelto a onorar l’Educazione? Una quota rosa mancava all’equazione? Uno scalino solo per ascendere al cursus della Promozione?); un Ministro Primo, si diceva, che si rivolge agli Impiegati della Formazione con la lavagna vintage comprata agli eredi del buon anima e nobile Garrone, legittima addirittura qualche certezza maggiore. Forse, bonariamente, gli vien da pensare alla Scuola come al Gozzano delle «Buone scuole di pessimo gusto»: non son forse così le buone maestrine, tutte signorine Felìcita, che fuggono arrossite dinanzi alle corbellerie multicolori delle moderne LIM?
Come è invece sempre grigia e Feriale la Scuola, e mai Festiva. Sempre in Divieto di Sosta, sempre Iperattiva. Ma i giovani neoinformati ai PAS e TFA senz’altro cambieranno: il cambiamento non si cambia, perbacco. E che dire dei nuovi Imprenditori dell’Azienda (i Presidi, secondo l’antica sentenza), freschi di nuova investitura? Si leggano le cronache, si guardino i tabulati dei trasferimenti: all’arrivo della nuova Dirigenza c’è gran fuga di docenza, unica via per sopravvivere a tanta indecenza: in nome di Sua Signora Concorrenza ai Classi Licei si potenzia l’inglese e soprattutto il classicissimo Cinese; e per fare voti alla Scienza della Dea Valutazione i compiti li corregge sempre altro Professore, con le Griglie misuranti fotoni e quanti delle latine versioni. Viva viva la Rottamazione, ultima tappa di una lunga ossessione.
Il giovane, si sa, è argilla facile alla mano-missione. E costa la metà del vecchio e decrepito Trombone (con lo scatto bloccato a tempo indeterminato). Un mio amico (come si dice in questi casi), impiegato in una seria Agenzia di Stato, mi ha raccontato che il virtuoso Dirigente, con un audace gran colpo di mano, in un batter d’occhio, durante la pausa dell’estate (imitando i Magistri suoi, Parlamentari), fece smantellare tutte le ardesie retrò perfettamente funzionanti, con altrettante elettroniche lavagne. Gli si chiese, perché non affiancarle; venne risposto, perché l’impiegato è misoneista per natura, e il nuovo gli va imposto. La connessione web per lo più s’inceppava, gli studenti utenti non avevano account né strumenti, gli impiegati matematici non potevan far lezione quando veniva meno (spesso) l’illuminazione… Affiancò allora delle lavagnette in plastica con i pennarelli acidi semper morituri ma in compenso assai più inquinaturi. E fu promosso, il Dirigente, al Grado Superiore con Massimo Onore. Addirittura, nominò il suo Successore. Nessuno sa, del resto, del gran risparmio di gessetti che costò l’operazione.
E chi li ricorda più quei Corazzini, quei Crepuscolari dai ritmi lenti e colloquiali, che lo dicevano ridendo, nel loro finto lacrimare: calmi, ragazzi, clof, cloppiti, clof: guardate che siam tutti un po’ malati, non fate troppo gli eccitati, gli smodati, i super-dotati. Eccoci qui, invece, a celebrare l’Industria del Gran Vermo, con gli eredi del sentir tanto. Salutiamo i nostri padri Futuristi, Vitalisti, lo slogan, la pubblicità, l’azione per l’azione, il produrre per la produzione. Facile oggi fare la Consumazione: solo la Crescita, diceva lo Scrittore, salverà il Mondo, magari con una Guerra sostenibile, igienica, economica, globale, senza troppo sporcare. C’era, d’altro canto, anche la Cattolica Azione, la Vita & Pensiero, L’Azione Sociale, il Partito Militante e il Partito d’Azione, il Soldato Operaio e il fuoco ardente del catecumeno Soldato. Lotta et Labora. Era nata la Scuola activa avrebbe forse detto la Hannah Arendt, meditando sulla banalità del Male. Dal secolo Orfano veniva il Secol Militante (oh vergogna dell’ozioso insegnante, del clero contemplante, del Principe di Salina volto alla Costellazione del Gattopardo declinante; viva le scienze applicate, viva le lettere scienziate): nessun desiderio, niente scopi astrusi, poca storia che rende eunuchi: obiettivi didattici ben precisi nella mira, e colpire dritto al target sovraesposto e sottocosto.
Il passaggio, oltre che segnare un trapasso storico fra scuola d’élite e scuola di massa, scuola degli aristocratici e scuola dei borghesi coltivati nella religione del sacrificio e del lavoro, della religione malthusiana, puritana, preparava piuttosto il suo servaggio ai criteri della scuola sacrificio, prima, e adesso della scuola tutta volta all’efficacia dell’azione, e della necessaria quantificazione della quotata d’efficienza: insomma, fosse gratis il sacrificio per il dio o per la patria, che sia; certo non quello per il Moloch Monitoratore, cui si santifica l’amor di professione. Insegnare una materia: quasi un’antisociale cattiveria. Nella Nonscuola ecco farsi indietro, lontani, rari i nantes, gli insegnanti; e avanti gli educatori valutanti. Ma ascoltate ora i guru di Finanza (s’inaugurava al PAC l’Evento di un’Esposizione): «concedersi pausa di contemplazione è oggi necessità di strategia che avanza: per questo siam sponsores degli eventi d’arte: per insegnar al popol tutto, che ogni tanto occorre prendersi dell’ozio la sua parte, che vale a saper guardare il mondo sotto prospettiva più gigante». Santa ipocrisia: è quel che diceva un tempo a Scuola la Sophia prima che le pratiche Finanze la cacciassero via.
Per questo oggi non tanto più sorprende la curiosa e desueta comunione fra esponenti delle scuole pubbliche — le cosiddette “statali” — e le scuole pubbliche — le “private”, cosiddette. L’irenica conciliazione che si respira nell’aria riveste interesse culturale. E fa pensare. Quale linguaggio la permette e la pervade? In che lingua comune, in quale koinè parlano “culture” che si sono fino ad ora combattute come aliene affatto, e “barbare” le une per le altre?
(2 – continua)