«Il nuovo anno comincerà nel caos», parola di sindacato. Alla vigilia della ripresa della scuola, i sindacati di categoria lo hanno ripetuto a chiare lettere: questa riforma non ci piace, faremo di tutto per affossarla. Tanto per cominciare, manifestazione unitaria a Roma l’11 settembre, poi si vedrà (e già annunciano che anche gli studenti scenderanno in piazza, come faranno a saperlo?).
Che cosa inquieta tanto i sindacati della nuova legge sul sistema di istruzione? A me pare che siano esattamente gli aspetti per cui invece la nostra associazione l’ha sostenuta. Non è qui il luogo per rifare la storia di un provvedimento travagliatissimo, che abbiamo già affrontato su queste pagine; in estrema sintesi, possiamo ricordare che la Buona Scuola è partita con l’intenzione di introdurre nel sistema scolastico importanti elementi di flessibilità nell’organizzazione degli istituti e soprattutto di scelta, utilizzo e valutazione dei docenti, attirandosi per questo le ire di tutti i settori del mondo scolastico che difendono invece gli attuali meccanismi basati solo su punteggi e graduatorie.
Si è innescato così un acceso dibattito, che ha portato alla fine a un testo — la legge 107/2015 — molto diverso da quello originario. Qualche cosa delle intenzioni iniziali comunque è rimasto. È rimasto l’accento sull’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro in tutti i percorsi della secondaria di secondo grado, per i quali sono state aumentate le relative risorse; è stato introdotto il curriculum dello studente con la possibilità di personalizzare il piano di studi con alcune discipline opzionali; quanto ai docenti, sono rimaste la formazione in servizio affidata all’autonomia delle scuole e la dote di 500 euro annui da spendere per l’aggiornamento. È stata poi introdotta la presenza di genitori e studenti nel comitato di valutazione dei docenti che può essere un’opportunità per un dialogo serio sui bisogni formativi dei ragazzi e su come gli insegnanti possano rispondere. Purtroppo l’idea di legare la progressione di carriera a un sistema di valutazione delle capacità si è ridotta a bonus annuale di importo poco significativo.
Soprattutto è rimasto il piano straordinario di assunzioni, molte decine di migliaia di docenti da anni precari (le cifre esatte sono controverse) che in parte andranno a coprire cattedre scoperte, ma in parte andranno a formare quello che la legge chiama “organico dell’autonomia”, ovvero insegnanti assunti in numero superiore alle cattedre libere che saranno dedicati al potenziamento dell’offerta formativa. A noi pare un’occasione unica — che in realtà riprende un concetto già introdotto a suo tempo dalla legge sull’autonomia del ministro Berlinguer – per utilizzare gli insegnanti in maniera flessibile, cercando di rispondere a esigenze reali e particolari di ciascun istituto.
Ma proprio su quest’ultimo elemento si appunta oggi la polemica dei sindacati, in modo a mio modo di vedere paradossale e strumentale. Paradossale, perché invece di essere soddisfatti a veder risanata una piaga storica del nostro sistema scolastico — il precariato — con l’immissione in ruolo definitiva di migliaia di lavoratori abituati a dipendere di anno in anno dalle graduatorie delle supplenze, i sindacati alzano la voce sulle modalità del sistema di assunzioni, che prevede la possibilità di essere assegnati anche a province lontane. In soldoni: meglio il sistema attuale — dicono, e fanno credere a tanti insegnanti — con le supplenze rinnovate di anno in anno, ma nella scuola sotto casa, piuttosto che un’assunzione a tempo indeterminato, che però potrebbe essere destinato altrove.
Paradossale, no? E insieme, mi sembra, strumentale: viene il sospetto che il problema vero non sia difendere gli interessi dei lavoratori, ma opporsi a una legge che introduce un elemento, la valutazione dei docenti, che da sempre i sindacati vedono come fumo negli occhi.
Detto questo, la scuola fra un paio di settimane riaprirà i battenti, e docenti e ragazzi si troveranno come sempre a guardarsi in faccia. Che cosa succederà? Per alcuni — lo dico con dolore, vorrei sbagliarmi ma le avvisaglie sono chiare — gli studenti saranno uno strumento, da mandare in piazza a protestare contro una legge che nemmeno conoscono, e che invece vien incontro ai i loro interessi.
Per molti altri invece la sfida che comincia nelle aule è un’altra. È quella che è stata riaffermata al Meeting di Rimini, è la sfida del riappropriarsi in termini educativi del proprio sapere in dialogo con altri docenti, disponibili ad imparare da tutti. Persone che dialogano in libertà ovunque.
Libertà che ha sì un aspetto istituzionale, ma soprattutto un aspetto personale. Tutto dipende, ancora una volta, dalle persone: dal desiderio di ciascuno di essere una presenza attiva e responsabile, di incontrare i colleghi, di rispondere al bisogno reale degli studenti, magari anche cercando di utilizzare le possibilità che la nuova legge offre. Capisco bene che in un contesto come quello che si profila non sarà facile.
Ma poiché è impensabile realizzare il compito educativo da soli, diventa sempre più necessario che gli insegnanti abbiano un luogo per sostenersi, per aiutarsi in un giudizio, per condividere strumenti e proposte collaborando con chiunque abbia a cuore l’educazione dei giovani.