La genericità è la madre di tutte le grandi campagne sui mali e le terapie della scuola. Perché qualunque precisazione su qualunque argomento suscita infinite controversie. E quindi anche Abravanel, nell’esporre sul Corriere di ieri i risultati di un sondaggio di opinione sulla scuola, deve limitarsi ad osservazioni e proposte “impressionistiche” augurandosi un dibattito più ampio.
Racconta così che gli “italiani” (i 1000 consultati) ritengono i docenti impreparati e incapaci, che la valutazione degli alunni è considerata soggettivistica e multiforme, che si ritiene inesistente ancora un vero metodo di valutazione delle scuole, che la riforma Renzi sia una cosa timida e che la vera riforma della scuola debba ancora venire.
Sono cose condivise da moltissimi e non da oggi.
Le cure dei mali e la riforma vera? Anche qui rimaniamo nello stile impressionista. Abravanel chiede di: cambiare il modo di insegnare, valorizzare i test Invalsi, allungare il tempo scuola dei docenti, valutare i presidi che poi devono poter valutare i docenti. Abbiamo sentito mille volte trattare queste problematiche, su cui a parole ci sono amplissime convergenze che puntualmente divergono sulle proposte organizzative successive, e così veri passi avanti non se ne fanno.
Su un punto solo Abravanel rompe la genericità, proponendo un orario per i docenti di 30 ore settimanali. Sono perfettamente d’accordo con questa proposta, che sarebbe risolutiva della natura assolutamente unica e negativa del docente in Italia. In Italia il lavoro docente statale è un lavoro part time che impedisce la vera modernizzazione della scuola. Al tempo corto dei docenti è legato il basso stipendio, la femminilizzazione del sistema e la lunga chiusura estiva delle nostre scuole. Ad esso consegue l’impossibilità delle attività di recupero mirato pomeridiane o dei corsi di riparazione estivi.
La richiesta di allungare il tempo docenti viene avanzata timidamente forse perché è chiaro il muro che le vestali scolastiche alzeranno di fronte all’avanzata di questa idea. Ma si potrebbe fare un compromesso, e cioè lasciare la possibilità del tempo attuale ridefinito come tempo parziale introducendo gradualmente l’insegnante a tempo pieno. Un insegnante ben pagato, con le sue 36 ore settimanali (come i docenti regionali) di cui 18 di docenza. A questo docente e solo a questo dovrebbe essere assegnato il coordinamento delle classi ed un ruolo preminente nel rapporto scuola-famiglia.
Questa misura da sola modificherebbe di gran lunga la funzione docente.
Per quanto riguarda la soggettività assoluta nei voti dati agli alunni durante la valutazione ordinaria una soluzione potrebbe essere che in ogni istituto si svolga una prova quadrimestrale somministrata dal gruppo dei docenti della stessa materia e corretta collegialmente. Inoltre si potrebbero spostare tutte le verifiche e le interrogazioni al pomeriggio in ore specifiche dedicate alleggerendo così le mattine che, con ore ridotte a 45 minuti, vedrebbero soltanto spiegazioni, conversazioni ed esercitazioni.
Per la valutazione dei presidi, dovrebbe essere l’organizzazione ordinaria del sistema scuola la via maestra per selezionare i dirigenti, abolendo gli uffici scolastici provinciali e dislocando i presidi a livello distrettuale (200mila abitanti) sotto la supervisione di un dirigente scolastico distrettuale. Verrebbe così abolita la titolarità di istituto a favore di una titolarità di distretto con utilizzo annuale in una scuola del distretto stesso a discrezione del dirigente scolastico distrettuale.
La stessa cosa dovrebbe valere per i docenti che, diventando titolari non di istituto ma di distretto, sarebbero meno inamovibili e più facilmente valorizzabili o neutralizzabili.
Per quanto riguarda la valutazione degli istituti scolastici, la mia personale proposta è che ogni scuola dovrebbe, annualmente, effettuare alcuni sondaggi standard, sempre uguali negli anni, i cui risultati dovrebbero essere pubblicizzati. Un sondaggio tra gli alunni sul gradimento e le difficoltà della scuola e per raccogliere suggerimenti, uno tra i genitori ed uno tra i docenti.
Servirebbe inoltre una serie ben definita di statistiche annuali sugli esiti scolastici classe per classe e su altri indicatori come provvedimenti disciplinari, infortuni, assenze degli alunni. Il giornale annuale di istituto con tutti questi elementi (sondaggi e statistiche) dovrebbe essere obbligatorio e contenere anche i risultati delle prove Invalsi. Si formerebbe così, gradualmente, un metodo di comprensione e valutazione della realtà dei singoli istituti scolastici e del loro andamento negli anni.
Una cosa però delude fortemente nell’articolo di Abravanel, che nella frettolosa genericità si allinea ancora una volta alla seconda grande anomalia (dopo quella dei docenti) del sistema scolastico italiano e cioè il tempo scuola degli alunni. “L’italiano ha voglia di scuola! Il 75% degli intervistati vuole più ore per recuperare chi è indietro, valorizzare i più capaci, fare più sport e arte”.
Il giornale ha messo questo occhiello: le famiglie “chiedono un maggior numero di ore in classe…”. In tal modo si piega la dichiarazione di Abravanel al pensiero sindacalmente corretto, ma Abravanel avrebbe potuto evitare questa strumentalizzazione pronunciandosi esplicitamente su questo tema cruciale.
Ebbene, ecco ancora all’opera il tempopienismo. La “voglia di scuola degli italiani”, non precisata, si trasforma nella presunta richiesta di più ore in classe, in un paese che ha il record europeo delle ore di lezione annue. La realtà è che le nostre scuole sono le meno aperte d’Europa ma il nostro alunno fa più ore in classe rispetto a tutto il resto d’Europa e (salvo Israele) del mondo.
Proprio questa confusione (usata ad arte) tra ore in classe curricolari ed apertura della scuola sta alla base del grande inganno sindacal-corporativo e dell’immobilità del sistema. La scuola come edificio andrebbe aperta dal mattino alle 7 fino alla sera alle 19 in tutti i giorni lavorativi dell’anno.
Le attività curricolari a classe intera dovrebbero svolgersi solo il mattino per 4 ore giornaliere delle 800 annuali, ore ridotte a moduli senza cambiare il peso specifico degli insegnamenti. Il tempo docenza risparmiato dovrebbe essere utilizzato poi massicciamente per le attività mirate di recupero e per le attività aggiuntive opzionali.
Così, senza aumenti di spesa, si andrebbe incontro alle infinite istanze pigramente trascurate e incancrenite delle nostre scuole. C’è da augurarsi che il coraggio dimostrato nel toccare il tabù dell’orario dei docenti spinga Abravanel ad attaccare anche il secondo grande tabù.