Ad inizio agosto il Miur ha presentato la ripartizione del fondo di 1.800.000 euro destinati ai 218 corsi di formazione linguistica per circa 6.500 docenti che, se statali e di ruolo (la Buona Scuola su queste distinzioni non è affatto “buona”), si vogliano cimentare nel Clil nei quinti anni dei licei e degli istituti tecnici e, nei linguistici, dalla terza alla quinta. Sono previsti corsi standard di livelli da B1 a B2+ (sulla carta, poi entrano in ballo i docenti nelle varie regioni con le reali competenze) e tutte le lingue, ed anche moduli brevi. Nulla di nuovo, nemmeno nella ripartizione dei fondi, dove la fanno da padrone Lombardia, tallonata da Campania e Sicilia (ennesima riprova, se mai ce ne fosse bisogno, di dove stiano di casa il maggior numero dei docenti); fanalino di coda il Molise, Valle D’Aosta e Trentino Alto Adige assenti perché (come per il piano di assunzione straordinario ancora da terminarsi) del tutto e splendidamente autonome. 



In attesa di ulteriori comunicazioni da parte degli Usr regionali, previste per settembre, sarebbe interessante poter dialogare con gli Usr proponendo un piccolo incrocio di dati fra alcune risultanze degli esami di Stato 2014/15 e i criteri sopra esposti per l’individuazione dei candidati ammissibili ai corsi linguistici. Sarebbe interessante poter accedere alla mappatura che il Miur non avrà certo trascurato di fare relativa al Clil, ad esempio quante e quali materie Clil sono state verificate in sede di terza prova o di colloquio, sempre da parte dei membri interni, perché tale era l’indicazione data per l’esame di Stato appena concluso, oppure il numero delle domande previsti in terza prova o nel colloquio orale nella disciplina Clil. Ai fini della formazione sarebbe ancora più interessante, tuttavia, aver mappato le competenze linguistiche dei docenti interni impegnati nell’esame di Stato 2015/16 e che abbiano fatto Clil, o con percorsi autonomi più compiuti pur se brevi (di solito legati a competenze linguistiche e metodologiche del docente più o meno certificate, ma sufficientemente reali da permettere allo stesso di costruire un percorso), o in collaborazione con il docente di lingue in un progetto a carattere multidisciplinare legato all’assenza delle suddette competenze e alla necessità di approntare “un modulo  per il Clil”. Ovviamente nella mappatura si dovrebbero comprendere anche alcuni “reietti”, quali i docenti supplenti e quelli delle scuole paritarie, a tutti gli effetti membri interni, come sempre, delle commissioni negli esami di Stato. Magari si potrebbe anche includere la rilevazione di quali e quanti moduli Clil siano stati fatti (dai documenti dei consigli di classe sono tutti rilevabili), giusto per capire quanto Clil sia stato fatto nelle classi quinte.



Pur non essendo in possesso dei dati indicati, potrei azzardarmi a dire che le loro risultanze sarebbero scarse (un docente pro-Clil direbbe “deludenti”), e che il Clil è stato il grande assente dell’esame di stato 2015/16. La ragione? Tante cattive ragioni: 1. la mancanza di una formazione “tempestiva” dei docenti (la riforma dei cicli è del 2003), aggravata dai paletti discriminatori verso le “categorie reiette” (precari e docenti delle paritarie), 2. la decisione aprioristica di non valorizzare la capacità di autoformazione proveniente dai docenti e dalle loro associazioni, pur passando dalla  validazione delle suddette attività da parte delle università in Cfu, ed infine 3. l’inevitabile cul de sac delle norme transitorie dell’esame di Stato 2015/16 con i soli membri interni autorizzati a verificare il Clil. Un elegante escamotage per alleggerire la tensione dei dirigenti scolastici e dei docenti commissari rispetto allo spauracchio dei ricorsi? Visto che per il 2015/16 i membri esterni sono rimasti, pronti a decadere per il 2015/16, si potrebbe pensare che le norme siano state introdotte per disinnescare, temporaneamente, la “bomba Clil”. 



Cosa fatta capo ha, dice la saggezza popolare, e pertanto quale sarebbe lo scopo di mappare quanto accaduto nell’esame di Stato 2015/16? Contando che bisogna anche tenere in conto le immissioni in ruolo (italiano e latino quasi per nulla incidenti sul Clil, ma scienze naturali e storia/filosofia un po’ di più), le assegnazioni temporanee su altra sede, e poi le supplenze, e poi le nomine dei dirigenti scolastici (sì, ci sono ancora tutte, anche dopo la Buona Scuola, che non può spazzar via immobilismo e vecchi meccanismi in un sol colpo). Una utilità forse ci sarebbe: sapere chi ha davvero fatto Clil, se ha bisogno di (ulteriore) formazione linguistica, e offrirla prioritariamente a costui/costei, garantendo al docente una crescita professionale che possa ricadere sugli studenti; il decreto del 5 agosto 2015, a distanza di soli 20 giorni circa dalle chiusura delle operazioni relative all’esame di Stato, ripropone i criteri e le modalità per la formazione di cui sopra (prioritariamente  per statali e solo se in servizio nelle classi quinte di licei ed istituti tecnici, oltre al triennio finale dei linguistici) e semplicemente ignora a priori quanto avvenuto.

Nella rimodulazione delle classi di concorso, esisterà mai una classe di aspiranti docenti Clil con albi territoriali, che includa chi ha completato il percorso di formazione (possibilmente liberato dalle gabbie che attualmente lo caratterizzano) e chi lo intende completare o intraprendere? La formazione andrebbe a ricadere su questi soggetti innanzitutto, e anche la scelta dei dirigenti scolastici che potrebbero, se lo ritengono funzionale al Ptof (Piano dell’Offerta Formativa Triennale), individuare i docenti dall’albo, sapendo esattamente a che punto della formazione si trova il docente che vanno a selezionare. Oppure il dirigente scolastico verrà a sapere che ha, o non ha, un docente Clil formato o in formazione per l’a.s. 2015/16 chiacchierando alla macchinetta del caffè? Un luogo deputato, e non solo nella scuola, alla risoluzione di vertenze che, in taluni casi, meriterebbero sedi più consone e soprattutto deputate allo scopo.