Molti studenti, usciti a giugno dalla terza media, hanno da poco iniziato le lezioni al liceo classico o scientifico, o laddove l’insegnamento della lingua latina, nonostante tutto, si è “salvata” da riforme e dal degenerazione di un dibattito sulla “inutilità” delle lingue morte. Senza dimenticare chi ha avuto il debito e ha dovuto ristudiare d’estate (ho infatti in mente le osservazioni di Laura Cioni in un suo recente contributo).
Eppure, c’è un dato consolante, di fronte alla desolazione della cronache scolastiche (per tacere della altre di cui qui non si ragiona, ma che abbiamo sottecchi quotidianamente): il numero delle iscrizioni è leggermente aumentato nel corso del 2015 rispetto agli anni scorsi caratterizzati da un trend altamente negativo: evidente è che dal 2007 le iscrizioni al liceo classico si sono dimezzate.
Varie sono state le iniziative “folkloristiche” per resuscitare le moribonde lingue classiche di cui i docenti allarmati si sono resi conto, perché toccati personalmente da questa crisi dell’istruzione classica: meno iscrizioni, meno cattedre, più soprannumerari ovvero docenti di ruolo che rischiano di essere trasferiti d’ufficio in un’altra scuola oppure di lavorare su più sedi, con conseguente disagio.
Chi vorrà seguire il carrozzone dei teatranti che si agitano con un gusto squisitamente “tragico” per pugnacemente fronteggiare la catastrofe dilagante di questa crisi, potrà (se lo vorrà) leggere i miei articoli più vecchi apparsi su queste pagine. C’è dunque una speranza che sorge dalle giovani generazioni animate da un novello interesse per il mondo antico, rianimate — forse — da un mondo sempre più despota delle nostre menti con le sue gerarchie di valori e modi di pensare, politically (or not) correct.
Non metto, dunque, in dubbio che queste iniziative siano legittime e contribuiscano a ravvivare nell’immaginario collettivo e a propagare, anzi propagandare, in una società che idolatra il tecnologismo di cui siamo ormai schiavi del terzo millennio, la cultura classica, ma mi ripeterò secondo il celeberrimo adagio (repetita iuvant!) come posto all’attenzione dei lettori: la rivoluzione copernicana è mettere al centro lo studente e rendere la grammatica, la cultura, la storia, i valori e così via satelliti orbitanti, perché chi deve “accendersi” di curiosità e forse di passione (studium vuol dire anche questo, in latino) è il ragazzo appena entrato al liceo.
Il docente deve essere facilitatore di questo innescarsi di corrispondenza d’amorosi sensi tra questo e altro: dapprima dovrà essere un po’ come Orbilio, severo e ben preparato: però il grande poeta Orazio, che veniva da una famiglia abbastanza benestante ma socialmente non illustre, lo ricorda con affetto e gratitudine per essere stato un maestro dotto, morale, capace di dargli una preparazione e amore per la poesia greca e latina tra una bacchettata e l’altra con la ferula.
In un mio articolo comparso su una rivista specializzata della scuola media, apparso a settembre 2015, Dal passato un ritorno? Il latino nella scuola media ripercorro la storia dell’insegnamento della lingua latina e del relativo dibattito nelle riforme scolastiche fino al suo revival negli ultimi anni, non più come materia curricolare ma come corsi opzionali attivati su richiesta delle stesse famiglie nel corso della terza media. Il latino, dunque, è percepito come sempre più attuale, non perché gli studenti debbano conversare in latino oppure twittare in latino (cos’è più stereotipo per “attualizzare” una lingua morta se non rianimarla con un codice anacronistico come quello comunicativo-orale oppure come un medium tecnologicamente avanzato?), ma perché è anche (ma non solo) un modo di ragionare e riflettere sulla grammatica cristalizzata dallo studium di migliaia di persone durante il corso dei secoli e secoli.
Certo, molti studenti rimandati a settembre hanno dovuto studiare la lingua morta (per tacere del greco antico) durante quest’estate infuocata per saldare il debito contratto non solo con la propria coscienza, ma anche con la propria conoscenza della disciplina: ci sarà stato poco studium!
A noi docenti raccomando di agire didatticamente nello spirito di quel che scriveva il precettore umanista Guarini, nel testo La didattica del greco e del latino del 1459: “Quo circa ea in re Alexandri Magni exemplum imitabuntur qui non minus se Aristoteli praeceptori quam Philippo patri debere praedicabat, propterea quod ab hoc esse tantum, ab illo et bene esse accepisset” (E pertanto in questo ambito i giovani imiteranno l’esempio di Alessandro Magno, che più volte ripeteva di essere debitore verso il suo insegnante Aristotele non meno che verso il padre Filippo, poiché da quest’ultimo aveva ricevuto solo la vita, dal primo invece aveva imparato la virtù).
Non è forse questo un insegnamento classico perché eterno, che ogni docente di greco e latino dovrebbe tenere a mente, anzi no, nel cuore? A tutti dunque un in bocca al lupo.