Provo a raccontare chi è stato e rimane per me Giorgio Israel, e lo faccio mentre rileggo la nostra corrispondenza. Il 21 novembre 2005 gli scrivevo per la prima volta per prendere un appuntamento. Tre giorni dopo ero nel suo studio insieme a dei miei compagni di corso e dopo una bellissima chiacchierata ci proponeva di metterci d’accordo per una cena. Per diversi mesi lo rincorsi nella speranza di quella cena, ma gli impegni e uno stato di salute non perfetto fecero saltare quell’occasione. Nel frattempo seguii i suoi corsi di storia e diedi con lui tre esami ricchi di soddisfazioni. Un anno dopo mi scriveva una mail per gli auguri di Natale dandomi del tu per la prima volta. Da quel giorno fino alla mia laurea nel luglio 2007 fu un susseguirsi di incontri e di chiacchierate a 360 gradi: dalla storia della scienza ai problemi dell’università, alla politica italiana e internazionale.



Poi, nel dicembre 2007, un episodio singolare: alcuni studenti universitari andarono a trovarlo a mio nome per fargli una proposta senza però avere le idee molto chiare. Così il professor Israel mi scrisse una mail di cui riporto uno stralcio: “Caro Luigi, mi piacerebbe parlare con te dell’incontro che ho avuto e che è stato francamente deludente. […] trovo alquanto singolare che si abbia a disposizione un docente che tiene un corso di storia della matematica — ovvero di una disciplina la cui conoscenza, anche a livello iperelementare è prerequisito per discutere di queste cose — e l’ultima cosa che si consideri è di seguire il suo corso. È una testimonianza ulteriore — se ve n’era bisogno — di quanto l’università sia ridotta a mero didattificio ed esamificio e non passi neppure per la mente che un corso possa fornire cultura, conoscenze e idee. Capisco che non l’hanno messa nei piani di studio, ma l’interesse culturale può ben spingere a seguire un corso ‘gratis’. Altrimenti vale la frase di Magris a uno studente che gli chiedeva quanti crediti gli avrebbe dato per seguire un suo seminario: ‘Lei ha mai baciato una ragazza gratis?’. […] Per favore, non vi adeguate alle mode. Studiate, studiate e studiate, riflettete e pensate, GRATIS, prima di pretendere di spiegare e “mostrare” agli altri. Quello viene dopo, quando sarete certi di aver qualcosa da dire che valga. Avete tanto tempo davanti a voi



L’ultima sottolineatura è originale del professore e l’ho presente — o almeno provo ad averla presente — ogni giorno che entro in classe.

Dopo averlo ringraziato per quella mail ricevetti gli auguri di Natale con la famosa canzone degli Eagles “Please Come Home For Christmas”, un esempio della sua grande passione per la musica. 

Il 12 marzo 2008 Giorgio (ora ci davamo reciprocamente del tu) mi mandò un’informativa su un seminario organizzato da sua moglie all’Università Roma Tre, “Innovazione e tradizione nella matematica e nel suo insegnamento”: ma non riuscii ad andare a nessun incontro poiché il lavoro (avevo cominciato a insegnare) e la scuola di specializzazione assorbivano tutto il mio tempo. Ma l’argomento mi interessava, eccome.



A questo punto, per due anni e più, non sentii né vidi Israel fino a quando un giorno — che difficilmente dimenticherò — mi arriva una telefonata. È il 17 maggio 2010, dall’altro capo del telefono c’è una voce con l’accento spagnolo, è la professoressa Ana Millán Gasca, la moglie di Giorgio. Mi dice che ha conservato il mio nome sulla sua scrivania per più di due anni e solo ora ha potuto chiamarmi per farmi una proposta lavorativa. Ma io insegno a scuola, sono soddisfatto del mio lavoro. Eppure il giorno prima un caro amico sacerdote —anche lui spagnolo — in merito a una mia richiesta di consigli per un’ipotesi di due anni di insegnamento in una scuola bilingue in Colombia, mi aveva detto: “Qualsiasi sia la scelta che farai, fa che sia per la crescita nella tua professione”. Ebbene, quel giorno al telefono c’era sua moglie, ma la domanda che mi fece veniva da entrambi e ancora oggi mi accompagna: “Luigi, capisco la tua esitazione, ma la proposta che io e Giorgio ti facciamo si può tradurre in questa domanda: Vuoi crescere nel tuo lavoro?“. Non c’è bisogno che dica quale fu la mia risposta.

I cinque anni successivi, fino ad oggi, mi sembra che siano volati, ma sono stati pure ricchissimi tra iniziative, convegni, pubblicazioni, corsi di formazione: quella crescita professionale non solo c’è stata, ma c’è tuttora. E poi il rapporto affettivo con Giorgio e con Ana, sua moglie. Un di più anche dal punto di vista umano. Quando martedì mattina ho ricevuto il messaggio che mi diceva che forse sarebbero state le ultime ore di vita di Giorgio, non ho avuto dubbi: desideravo essere vicino a lui, ad Ana e ai suoi figli. Fin dai primi momenti, dieci anni fa, ho avuto lo stesso desiderio di seguirlo, di imparare da lui (anche con qualche tirata d’orecchi), ma forse scopro solo ora cosa mi legasse così tanto a Giorgio: penso alla sua grande fiducia nell’uomo, alla testimonianza costante di quanto è vero che “Se ci fosse un’educazione del popolo tutti starebbero meglio“, al suo essere stato un maestro che ha consegnato la nostra tradizione alla libertà dei ragazzi (e degli adulti), che li ha accompagnati in una verifica piena di ragioni, che ha insegnato loro a stimare e amare se stessi e le cose.  

Così, nonostante non mi fossi laureato con lui (quante volte me l’ha rinfacciato!), mi sono appassionato ai suoi studi, alla storia della scienza e al recupero del valore culturale della mia disciplina.

Oggi (ieri, ndr) l’ho ricordato alla sua cerimonia funebre per la sua passione per la verità, per la bellezza e per la giustizia. Giorgio era soprattutto questo: un uomo che usava il cuore, con la sua esigenza di vero, di bello, di bene, di giusto e che esortava tutti, senza paura, a fare lo stesso. Come auguro di fare a me stesso e a ciascuno.