All’inizio di un nuovo anno scolastico la storia torna a bussare alle porte dell’Europa. Sarebbe da appendere in tutte le classi e poi da commentare l’immagine dei migranti siriani che sono accolti da applausi e abbracci all’arrivo nelle stazioni austriache e tedesche. La stessa cosa, come sappiamo, non avviene in Ungheria e nella Repubblica Ceca.
Cosa sta accadendo? Di quale nuovo imprevisto siamo spettatori? Una positività irrompe sotto la crosta dell’indifferenza europea rispetto alla sorte dei profughi che provengono dal medio oriente e dal sud del mondo martoriato da guerra e terrorismo islamico innescati, il più delle volte, da fanatismi ideologici che annichiliscono l’uomo in nome di una presunta sottomissione ad un credo religioso imposto con la forza. Forse la foto del piccolo Aylan, siriano, morto sulla spiaggia turca di Bodrum dopo avere tentato con la famiglia di varcare il mare e ora sepolto a Kobane, ha risvegliato in molti, anche politici, la domanda sul destino dell’uomo in questo particolare frangente storico; forse lo hanno fatto, insieme a questa ultima vittima innocente, le migliaia di altre piccole vittime i cui volti non ci sono noti, come i loro nomi, ma che sappiano essere stati amati dai loro genitori, parenti e amici. Per un attimo gli uomini, i bambini, i profughi così vilipesi e crocifissi nel loro totale sradicamento hanno aperto lo squarcio sulla nostra vera natura di esseri che non si sono dati la vita e non se la possono neanche togliere giocando al rimpallo sulla matematica dell’accoglienza.
Dallo squarcio una positività ha dilagato. La Germania della cancelliera Merkel ha aperto le porte ai siriani che cercano una nuova terra per sé e i propri figli; così ha fatto l’Austria. La stessa cosa non è accaduta a Budapest. E nemmeno nella Repubblica Ceca, dove i migranti sono stati marchiati con i pennarelli. Anche i popoli attraversano fasi in cui l’educazione ricevuta, la storia appresa nelle scuole e nelle famiglie, l’attenzione al presente più che lo sguardo ripiegato sul passato determinano le modalità con cui reagiscono alle sfide delle circostanze.
Gli ungheresi non sono più insensibili dei tedeschi, come hanno dimostrato soccorrendo in massa gli esuli siriani lungo l’autostrada che da Budapest porta a Vienna. Forse semplicemente smemorati, cioè non attenti a valorizzare nel presente la memoria del recente passato. Furono loro, gli ungheresi, i primi protagonisti del crollo del muro di Berlino quando, nell’estate del 1989, favorirono la fuga in massa dall’Austria, attraverso il loro paese, di tedeschi orientali, gli Ossis, che sgusciando attraverso passaggi alpini incustoditi se ne andavano dal comunismo cominciando a sbriciolare la cortina di ferro. Questo dato non è forse diventato cultura, cioè consapevolezza del presente, o forse è stato irrigidito in uno schema, quello della nuova costituzione ungherese di stampo nazionalistico, nella quale i richiami alle radici cristiane della patria magiara sono piegati alla difesa dello Stato.
La Germania, da parte sua, si trova a dovere gestire un compito alto e impegnativo. Insieme all’Austria ha rinunciato al fatidico “cuius regio eius religio” (tradotto: la religione segue la politica), sul quale principio l’Europa si è spaccata nell’epoca moderna e dal quale per certi versi è ancora fortemente attratta. Nei frangenti attuali sembra non essere stata immemore di quanto le è accaduto nel Novecento. Ha vissuto come un incubo per decenni, dopo la seconda guerra mondiale, la sua acquiescenza al totalitarismo nazista, ma ne ha discusso, ne ha dibattuto nelle scuole e nelle università. Ricordiamo la polemica Nolte-Habermas sul passato che non vuole passare. Poi è stata protagonista, all’epoca di Kohl, del fenomeno della riunificazione tra Est e Ovest che, di fatto, ha rilanciato l’Europa su basi di convivenza, di non esclusione.
Ora, si potrà dire che la Germania accogliendo la classe media siriana che scappa dall’Isis fa i propri interessi, dato che ha bisogno di occupare gente motivata nelle province orientali. Si potrà dire che sui profughi africani non è altrettanto aperta, come molta altra parte dell’Europa. Diciamolo. Resta il fatto che anche la politica è fatta di gesti che portano una cultura. In questo caso, si è aperta una finestra sulle prospettive future del nostro modo di essere europei, ma soprattutto uomini, che nessuno scetticismo potrà richiudere.