Meno male che Abravanel è un ingegnere laureato (giovanissimo, il più giovane d’Italia) a Milano nel ’68 e che quindi ha certamente una mentalità scientifica e rispettosa della realtà dei fatti e delle dimensioni quantitative!
Questa considerazione aumenta il mio stupore davanti all’articolo di prima pagina del Corriere della Sera di ieri 18 gennaio, che in teoria dovrebbe occuparsi dei differenti livelli cognitivi ed evolutivi degli alunni inseriti nella stessa classe (lo dichiara l’autore all’inizio dell’articolo). Il tema è di grandissima attualità da sempre ma è stato rinfocolato da un passaggio di una recente circolare ministeriale che invita i presidi a fare qualcosa superando le rigidità legate alla classe.
Abravanel inizia il suo discorso esaminando “il contesto” mondiale e le diverse modalità con cui si tratta la questione in diversi paesi, dall’Inghilterra alla Germania alla Finlandia. Ma dopo questa “disamina” si blocca inspiegabilmente. Prima dichiara che la circolare ministeriale in fondo lascia tutto com’è e che il vero problema deriva dal fatto “che non tutti i presidi sono in grado di organizzare il lavoro in modo adeguato e di valutare e formare i propri insegnanti”.
Poi rilancia, fuori contesto, le due ricette che aveva già indicato nell’articolo sul Corriere del 10 settembre scorso e cioè l’aumento delle ore di scuola per gli alunni e delle ore di lavoro degli insegnanti.
Ebbene, se si ripete Abravanel sul Corriere, posso ripetermi anch’io.
Sulla creazione del tempo pieno per gli insegnanti o almeno per una parte fondamentale degli stessi sono perfettamente d’accordo. Sull’aumento delle ore di scuola per gli alunni ripropongo ad Abravanel queste due quantità sperando che siano valutate dalla sua formazione professionale e mentale: in Europa le ore di scuola necessarie per arrivare dalla prima elementare al diploma sono in media 9.600 (800 per 12 anni) mentre in Italia, record europeo ma anche mondiale se si esclude Israele, sono più di 13.000 (1.033 per 13 anni).
La cosa, certamente risaputa, viene bellamente ignorata. Non si accenna nemmeno alla possibilità delle ore opzionali sulla base di un curricolo essenziale accettabile e quindi ridotto a non più di 24 ore settimanali.
Praticando l’equiparazione del curricolo italiano essenziale ai livelli europei si avrebbe, a parità di spesa per gli insegnanti, un risparmio di docenza enorme, pari a più del 30% di quanto attualmente speso sulle classi intere. Tale docenza risparmiata sarebbe utilizzabile per le attività mirate di recupero da un lato e per le attività opzionali di potenziamento dall’altro erogate su gruppi omogenei di varia dimensione.
Un sistema così fatto soddisferebbe sia le esigenze dei genitori che vogliono meno scuola, sia di quelli che vogliono più scuola, e sarebbe perfino… rispettoso della capacità di sopportazione degli alunni. Avrebbe anche qualche somiglianza col sistema inglese che pure Abravanel ha citato.
Per tutto questo si ha l’impressione che la conoscenza del nostro sistema scolastico, nella visione cosmica di Abravanel, sia la meno sviluppata. Ciò è confermato anche dal fatto che la circolare ministeriale sia definita insignificante e che si attribuisca ai presidi la responsabilità della stagnazione, anche se “non tutti i presidi…”.
In realtà il ministero sta cercando di indurre l’enorme carrozzone della scuola di stato, dominato dal sindacato e dalle congregazioni professionali e non certo dal dirigente di istituto, che galleggia sulle onde, all’attivazione delle possibilità introdotte vanamente 17 anni fa (e rilanciate con la legge 107/2015) tramite il DPR 275/1999. Il decreto stabiliva sia il curricolo essenziale (80% del totale) che le modalità di utilizzo della docenza residua, più altre possibilità tra cui la semestralità degli insegnamenti fatto salvo il totale annuale delle ore di lezione.
Perché l’Ing. Abravanel non si occupa di queste cose e di fatto si unisce ai detrattori di qualunque tentativo ministeriale, anche minimo, di svegliare la brutta addormentata?
Il carrozzone non ne vuole proprio sapere di diventare flessibile ed adeguarsi alle esigenze degli alunni e della didattica. Ma il crollo di qualunque autorevolezza della scuola e infine della governabilità delle classi costringerà a farlo in tempi a mio parere brevissimi.