Nella facoltà di Studi umanistici della Statale di Milano, si sta discutendo riguardo alla possibilità di ridurre drasticamente il numero degli appelli e di abolire la discussione pubblica dell’elaborato triennale. Concentriamoci su questo secondo aspetto. 

L’abolizione viene proposta perché ormai — come sostiene il presidente del Comitato di direzione della Facoltà, prof. Sinigaglia — la qualità degli elaborati è calata, la rumorosità dei festeggiamenti durante la sessione di laurea è esagerata, le modalità di esecuzione della discussione pubblica appartengono a un retaggio culturale ormai vecchio e da cambiare e, infine, vi sono numerose difficoltà strutturali della facoltà (a livello di impegno dei professori e di spazi). La discussione, insomma, “ruba” tempo e impegna spazi. Se questo è vero — e come potrebbe non essere così —, c’è però anche un altro fattore, che riguarda noi studenti: noi non vorremmo farci rubare opportunità di formazione. 



Alcuni problemi nella gestione e nella qualità delle discussioni pubbliche ci sono, ma si potrebbero pensare delle soluzioni, anche con l’apporto degli studenti: sopprimerle è una scelta drastica, e definitiva, non senza conseguenze. Eliminare la discussione pubblica significa di fatto togliere valore all’elaborato triennale, al di là di tutte le buone intenzioni. E le “tesi” triennali, non in assoluto, ma certamente in corsi di laurea come i nostri, sono un’occasione di formazione unica: esse hanno sin qui offerto l’opportunità di approfondire un argomento e di scrivere un testo sotto la guida di un professore. È poco? Una volta abolita la discussione pubblica, anche quel minimo di investimento e di controllo sulla qualità del prodotto da parte dei docenti verrà meno e a perderci saremo alla fine noi studenti. 



Nella proposta che si va profilando, la prova finale in vista della laurea triennale diventerebbe certo più abbordabile, ma meno significativa di tutte le tappe che la precedono. Il che desta comunque qualche interrogativo. Tutto ciò verrebbe perseguito nella convinzione che l’elaborato triennale sia inutile e rallenti i tempi di laurea, facilitando l’uscita fuori corso. Il rimedio sarebbe, dunque, secondo una tendenza che vediamo sempre più delinearsi nella direzione della facoltà, efficientare abbassando (l’asticella della qualità della didattica e il livello della formazione). È il trionfo dei numeri, della ragioneria istituzionale, delle statistiche. Alle considerazioni fatte occorre aggiungere che, molto spesso, gli studenti umanistici non proseguono con la magistrale. La laurea triennale costituisce l’unico titolo universitario di cui questi disporranno, per proiettarsi nel mondo del lavoro: non varrebbe a maggior ragione la pena mantenerne tutto il valore, discutendolo pubblicamente, piuttosto che ridurlo a un paper del livello paragonabile a una tesina di maturità? 



La proposta dell’abolizione, dopo mesi di “dialogo” (impegnativo, in cui abbiamo cercato di offrire tutto il nostro contributo), ha subito da dicembre una brusca sterzata. Questo perché entro l’inizio di febbraio l’ateneo è tenuto a inviare al ministero gli ordinamenti didattici dei corsi di laurea. Così, in fretta e furia, senza che si discutesse effettivamente il merito, la parola “discussione” è stata cancellata dalle norme, dando via libera allo smantellamento. Allertati da ciò, come rappresentanti di Lista Aperta Obiettivo Studenti, coinvolgendo i colleghi di UniSì – Uniti a Sinistra, abbiamo lanciato una raccolta firme online, che in meno di tre giorni ha raccolto più di 3.500 firme a sostegno del mantenimento della discussione pubblica e della non riduzione degli appelli. Il 21 dicembre, le rappresentanze studentesche (“grande assente”, UniLab – Unimi) e centinaia di studenti si sono trovati nell’atrio dell’aula magna, vicino all’aula in cui si stava svolgendo il comitato di direzione della facoltà. 

Di fronte alla manifestazione degli studenti, pacifica e corale, alcuni professori si sono ricreduti sull’opportunità di decidere frettolosamente in quella sede, comprendendo la necessità di una discussione più accurata al riguardo, nonostante la volontà della direzione di far passare senza colpo ferire l’abolizione della discussione e la riduzione degli appelli. È stata così istituita una commissione paritetica (formata da tre professori, tre studenti e il prof. Sinigaglia) con l’intento di conciliare le diverse prospettive al riguardo. Purtroppo, dopo la prima seduta di questa commissione, ci siamo resi conto che da parte di chi guida i lavori non vi è nessuna intenzione di scostarsi dalla propria prospettiva, cosa che rende impossibile qualsiasi alternativa e rende semplicemente retorica la costituzione della commissione.

Potrà sembrare strano, ma a noi interessa non sprecare gli anni dell’università. È per questo che, come la maggioranza dei nostri compagni di corso, non abbiamo accolto la proposta di abolizione delle discussioni pubbliche delle tesi triennali o di un eventuale alleggerimento del carico didattico degli esami con esultanza (“meglio così, meno lavoro”), ma con rammarico e anche un po’ di sconcerto, per la prospettiva di perdere un’occasione. Non vogliamo sconti, ma possibilità di crescere. La maggior parte di noi studenti è ben disposta a lavorare sodo, soprattutto se c’è qualcuno che su di noi è pronto a scommettere, invece che trattarci come elementi di una statistica (magari in vista di quote premiali che, in realtà, sono solo un’infima parte dell’ammontare dei finanziamenti). 

Forse, se l’unico modo per affrontare un problema è eliminarlo, non sono state pensate tutte le vie percorribili. Quello che ci sembra mancare è una adeguata considerazione della formazione degli studenti. Nelle principali sedi italiane, l’elaborato triennale è stimato come una prova importante e come tale trattato, con tanto di discussione pubblica. L’Università di Milano, tra le più prestigiose, non dovrebbe essere un capofila nella promozione della qualità? Come studenti ci siamo adoperati per mettere a punto proposte alternative, ragionevoli e realizzabili, ma abbiamo dovuto constatare una sostanziale mancanza di ascolto, al di là di una valorizzazione meramente verbale.