Le recenti vicende dei presidi che fanno volentieri a meno delle feste natalizie sembrano evidenziare un eccesso di potere dei dirigenti scolastici, che agirebbero in base alle loro convinzioni schiacciando dispoticamente le consuetudini dei loro istituti.
La realtà è ben diversa. Oggi nella scuola di Stato il potere del preside è praticamente nullo. Negli anni 90 gli fu tolto qualunque potere disciplinare sull’alunno cancellando la sospensione discrezionale da parte del preside da uno a tre giorni.
Tutto il resto era già prerogativa del collegio docenti, a cui si unì alla fine degli anni 90 la commissione sindacale di istituto (Rsu). Questa commissione doveva sostituire il collegio docenti in una scuola più sottomessa al preside manager. Ma non fu così. Il ministro Berlinguer fu costretto alle dimissioni anche per questa visione “aziendalistica” della scuola. Ma le Rsu non vennero abrogate, per cui il preside deve trattare ogni questione sia col collegio docenti che con la Rsu.
Teoricamente le materie sono diverse, ma esiste un solo aspetto organizzativo della scuola che non abbia valenze sindacali, dall’utilizzo del personale agli incentivi? Qualcuno sa cosa vuol dire nella scuola posizionare i bidelli nei corridoi, o disporre l’assegnazione dei docenti alle classi, o fare l’orario annuale definitivo, o assegnare le supplenze orarie e gli incentivi?
E così dirigere le scuole è sempre più difficile. Il povero preside si barcamena e siccome dall’alto vengono solo indicazioni generiche e la certezza di essere abbandonati in caso di conflitto pubblico, egli cerca di salvarsi associandosi a qualche organizzazione sindacale o culturale o a gruppi di colleghi che si coordinano tra loro. A volte operando in totale solitudine.
Le sue “scelte” sono quindi generalmente delle opzioni maturate dentro la dialettica interna delle scuole in cui i vari schieramenti sindacali agiscono unitamente o litigiosamente oppure tentativi di applicazione all’interno di suggestioni esterne maturate nei circuiti professionali, sindacali, politici, culturali, amicali, in cui il preside è inserito.
Ciò che sempre brilla è l’assenza della spinta, del controllo e dell’aiuto del ministero. Sì, perché il ministero è contemporaneamente invadente ed assente. Invadente perché di fatto gestisce totalmente le dinamiche del personale, i programmi, le risorse finanziarie. Ma assente perché non coglie nemmeno minimamente l’impatto che la sua direzione ha negli istituti scolastici ed in primo luogo nelle menti dei suoi manager chiave, i dirigenti di istituto.
Ho provato personalmente la vertigine che il vincitore di concorso vive quando si insedia nell’istituto scolastico assegnatogli. Un misto di solitudine e di illimitata discrezionalità che ben presto si chiarificano nella percezione netta che tutti hanno: arrangiati, ma se succedono guai, sei solo.
Se il preside di Rozzano — per stare al caso che più ha fatto discutere negli ultimi tempi, ma se ne potrebbero citare molti altri — o qualunque altro preside, operasse coordinato in un’area territoriale non troppo estesa, in cui confrontarsi abitualmente con una ventina di suoi colleghi sotto il controllo di un ufficio scolastico distrettuale, certe fantasie probabilmente non si materializzerebbero nemmeno.
Sarebbe chiaro a tutti il clima del territorio in cui le scuole operano ed i consigli dei più esperti ed il parere su questioni delicate del vicinissimo dirigente distrettuale sarebbero ascoltati in maniera semplice e rapida. Anche le aspettative del datore di lavoro (il ministero) sarebbero esplicitate concretamente e chiaramente e non tramite i comunicati generali fatti per compiacere la stampa. I rischi di svarioni o abusi personali diminuirebbero moltissimo ed anche la sottomissione a realtà organizzative deteriorate e pietrificate di un singolo istituto sarebbe molto minore. I dirigenti dell’ufficio scolastico distrettuale sovraordinati a 20-30 presidi diventerebbero i veri collegamenti tra ufficio scolastico regionale e ministero da una parte e realtà degli istituti scolastici dall’altra.
Il governo della scuola sarebbe allora possibile con segnali veri, rapidi e chiari dal centro alla periferia e viceversa — e sottolineo il “viceversa”, oggi completamente assente.
Perché si lasciano invece sopravvivere i circa cento uffici scolastici provinciali? Ormai sono totalmente inutili. Con due o trecento dirigenti di Usd si introdurrebbero, a costi praticamente invariati, delle reali linee di comunicazione, di collegamento e di forza e gli apparenti dispotismi dei presidi, che sono in realtà stravaganze di poverelli spesso impauriti e frustrati, sicuramente cesserebbero. Certo i vertici ministeriali dovrebbero a quel punto diventare dirigenti veri, e non galleggiatori nobilitati da appelli generali politicamente corretti e à la page.