Di psicologia discorreva domenica 17 gennaio Giovanni Trapattoni con Sinisa Mihajlovic alla Domenica Sportiva a proposito delle qualità di un allenatore, sostenendo che, a parte quelle tecniche – in ultimo convalidate solo dai risultati – la conoscenza psicologica dei giocatori è sicuramente quella più importante. Non che il Trap ignori l’esistenza degli psicologi sportivi o dei “gruppologi” alla Wilfred Bion, ma a sentirlo parare non sembra neppure sfiorato dall’idea di demandare la formazione da mandare in campo allo psicologo della società. Ne di rassegare le dimissioni della propria competenza psicologica, che fa tutt’uno con la sua persona e dunque con il suo essere allenatore.



Che si tratti di prendere provvedimenti dopo il tentato suicidio di una studentessa, prestare soccorso agli scampati allo tsunami delle Hawaii, al terremoto dell’Aquila, agli sfollati di un campo profughi in Siria o in Palestina. Oppure di intervenire in zone di guerra o con  popolazioni traumatizzate dal terrorismo o dalla pulizia etnica, una task-force che si rispetti non potrà essere sprovvista dello psicologo. Meglio se specializzato in psicologia delle emergenze. È la naturale estensione di ciò che accade nel quotidiano a partire dalle serie tv sempre più affollate di psicologi: profiler, esperti della mente, delle emozioni, della mimica facciale o delle posture del corpo. Esperti in déjà-vu, flash-back, visioni anticipatorie, esperti di sogni, di precognizioni, stati ipnotici e altro ancora…Per arrivare al quotidiano reale, ai siti internet dedicati ai consigli alle mamme (più raramente ai papà), agli educatori e agli insegnati e alla presenza fisica dei professionisti della psiche negli ambienti della vita reale: dalla gestione delle risorse umane, alle agenzie per il lavoro, dai reparti oncologici, al marketing emozionale (recente frontiera delle neuroscienze), alla presenza significativa nelle istituzione per l’infanzia e negli ormai tradizionali sportelli di ascolto nella scuola, sia per gli studenti che per gli insegnanti. Bene. Sono misure preventive che se anche non risolutive del disagio, sicuramente non guastano quando  adottate nello spirito del primum non nocere, e nello spirito di investire risorse per limitare gli insuccessi e favorire il successo dai tanti giovani per i quali l’appuntamento con la scuola e quello con l’ansia e l’angoscia non solo coincidono, ma definiscono, fino a strutturarli, comportamenti inibiti nei confronti dalla ricchezza della realtà, che oggi usa chiamare “evitanti”.



Qualcuno che si accorga (e ci tenga) della studentessa iper-performante in greco o in matematica (o in entrambe) che pesa quarantatré chili è sicuramente un aiuto per la ragazza e una compagnia per la sua famiglia. Chiunque si accorga e non adotti aprioristicamente delle condotte evitanti, può considerarsi titolare di una competenza psicologica individuale, la quale è sempre in primis del soggetto e non dello specialista. Salvo il caso di esproprio della competenza psicologica individuale che riattualizzerebbe il dogma marxiano (mutuato da Proudhon) sul capitale, come proprietà privata “della competenza psicologica altrui”. 



L’equivoco che riguarda le professioni d’aiuto risiede in una caratteristica psicologica tipica del carattere ossessivo, ovvero l’onnipotenza (presunta) che immagina di poter curare un soggetto a prescindere dalla sua consapevolezza e dal suo desiderio. In altre parole l’illusione che si possa curare un soggetto, titolare di libertà, a titolo di oggetto: cosa da riparare. Non a caso Freud inscrive la cura psicologica da lui stesso inventata nelle attività impossibili, assieme all’insegnare e al governare. Troppo pessimista? A giudicare dal numero di persone che vengono segnalate al consulente di turno, come “bisognose” di cure psicologiche, ma che non hanno la benché minima progettualità in proposito, non si direbbe.

Che ci fa allora uno psicoanalista a scuola, magari in veste di consulente per gli insegnanti? Se lo è chiesto Alfeo Foletto nel libro A scuola con soddisfazione (Itaca) un evergreen della letteratura di settore, rispondendo con sicurezza che se ci va è per “tenere viva la fiamma” della soddisfazione nei suoi protagonisti, che sono insegnanti e studenti. A differenza della convinzione di molti la competenza psicologica non risiede nella conoscenza delle patologie, se non per evitarne il contagio a titolo individuale e fornire a altri un’occasione di “riscatto” (giubilo?). Ma nella competenza a trovare soddisfazione in ciò che si fa nel quotidiano, a costo di cambiare: la spaventosa avventura che è propria di ogni autentica terapia.

Di questo a scuola e altrove ci sarà sempre bisogno, a patto che i soggetti protagonisti – come tanti Re Lear — non abdichino al proprio ruolo e preferiscano mandare in campo le seconde file: spin doctors, consulenti e specialisti d’ogni sorta.