Qualche tempo fa ho assistito a Roma ad un convegno organizzato da Deloitte, gli Strategy Council 2015, aventi come tema “Istruzione e Conoscenza come chiave unica per una società adeguata alle sfide e all’incertezza dei tempi”. La ricerca si proponeva di analizzare la situazione scolastica italiana, la percezione di studenti, genitori ed insegnanti e il raffronto con l’Europa. Com’era lecito attendersi, i dati erano molto interessanti. Alcuni forse presenti nella percezione comune, ma, in questo caso, basati su solide basi scientifiche. 



In sintesi, nel sistema formativo italiano venivano identificati dei punti di criticità rispetto ai valori europei quali una dispersione scolastica elevata (15% vs. 11%), un tasso di inattività più alto (26% vs. 16%) e un tasso di analfabetismo funzionale maggiore (28% vs. 15%). Ma il quadro complessivo vantava anche elementi positivi. Ne cito tre. Innanzi tutto in Italia l’istruzione ha un costo accessibile (un’università pubblica si aggira intorno ai 1.400 dollari circa rispetto ai 5.000 dollari di una del Regno Unito); poi il tasso di dispersione scolastica è in continua diminuzione (-7 punti percentuali negli ultimi 10 anni). Infine, il sistema italiano presenta dei punti di eccellenza, localizzati nel nord d’Italia, con performance paragonabili a quelle dei Paesi top performer, come testimoniato dai test Pisa. La scuola, poi, risultava importante per il 98% dei giovani, soprattutto per acquisire conoscenze utili per la vita. Ma gli studenti non vedono nella scuola il luogo ideale per coltivare i propri sogni (uno su tre non conferma una correlazione positiva scuola-felicità), e uno su tre non crede che i propri studi possano tornare utili in futuro. Altri dati da ricordare? Uno studente su tre ha  dichiarato che non si assumerebbe se fosse un imprenditore e uno su quattro ha detto di non saper cosa fare da grande. 



Riflessioni sincere, ma non molto incoraggianti. Non va meglio per mamme e papà. Solo un genitore su cinque sa quali siano i lavori più richiesti oggi. Inoltre, uno studente su tre ha ammesso di non saper indicare quale indirizzo universitario garantisca le maggiori opportunità occupazionali. La qualità dell’istruzione è, in generale, ritenuta buona, ma peggiorata nel tempo a causa soprattutto delle  infrastrutture, ma anche di  insegnanti e genitori che si attribuiscono vicendevolmente responsabilità. Molto interessante il fatto che gli studenti dimostrino grande maturità e capacità di analisi, segnalando la mancanza delle imprese nella scuola, intese come un collegamento con il futuro. Sempre secondo la ricerca, i docenti italiani risulterebbero soddisfatti del proprio lavoro, capaci di un buon rapporto con gli studenti e convinti di poter giocare un ruolo attivo nello sviluppo dei giovani. 



Tutti questi dati sono ritornati prepotentemente nella mia testa l’ultimo giorno di scuola di mio figlio, prima delle vacanze natalizie. Il maestro di matematica, un supplente, aveva appena detto ai bambini che lasciava la classe per andare ad insegnare alle medie del comune vicino. Pianti dei piccoli, rabbia dei genitori. Il motivo? Dall’inizio dell’anno faceva il supplente dell’insegnante titolare, a casa in maternità. Terminata la maternità obbligatoria, la docente titolare ha fatto pervenire per diversi lunedì un certificato di malattia. Risultato, dopo un periodo di attesa di un’evoluzione positiva della faccenda, alla prima opportunità seria di ottenere una supplenza retribuita fino a fine anno, il maestro ha salutato tutti, molto dispiaciuto, e se ne è andato.

Io credo che tante cose possano essere fatte per riportare la scuola italiana ai livelli di eccellenza di un tempo, e i dati della ricerca di Deloitte sono abbastanza confortanti come base di partenza, ma in primis dobbiamo tornare a lavorare sulle regole. Cambiare il corpo docenti tutti gli anni è una follia (mio figlio ne ha cambiate otto in 4 anni!). E’ giusto che ognuno faccia le proprie scelte di vita. Un po’ meno che a pagarne le conseguenze siano gli studenti. Viviamo in un mondo in cui le imprese sono “ossessionate” dalla cura del cliente. Gli studenti sono i clienti della scuola. “Puntare sull’istruzione e sullo sviluppo della conoscenza — sottolinea Andrea Poggi, partner Deloitte, responsabile dello Strategy Consulting e Innovtion — è inoltre indispensabile per permettere a tutti di essere parte integrante e attiva della società, di comprenderne e rispettarne le sue regole di base e i valori morali che la caratterizzano”. La ricerca di Deloitte identifica nell’innovazione uno dei cardini per la scuola di domani. Forse al di là delle strutture, delle tecnologie e dei metodi, dovremmo innovare anche i sistemi di tutela del nostro futuro: i nostri figli.