Il sistema scolastico trentino da alcuni anni si caratterizza per i risultati eccellenti, certificati dalle indagini nazionali Invalsi e da quelle internazionali Ocse-Pisa. I motivi sono molteplici ed interconnessi, come ho avuto modo di argomentare nell’articolo “Perché a Trento i dati Ocse-Pisa sono migliori?” pubblicato su queste pagine il 3 gennaio 2014. Un aspetto tuttavia non è mai stato considerato: il ruolo e il peso dei dirigenti scolastici. Pur consapevole che la buona scuola la fanno soprattutto i buoni insegnanti è pur vero che tutte le ricerche sulla qualità della scuola mettono in risalto il ruolo centrale e insostituibile del dirigente scolastico come costruttore di capacità organizzative per l’apprendimento (Ribolzi, Paletta).
Ebbene, il Trentino negli ultimi 5-6 anni ha rinnovato quasi completamente la dirigenza scolastica attraverso due corsi-concorsi significativamente diversi e più selettivi rispetto alle norme nazionali. Attraverso l’Iprase la Provincia garantisce percorsi formativi qualificati a sostegno della professione dirigenziale e numerose sono le occasioni di incontro/confronto, anche di sistema, in cui i dirigenti hanno la possibilità di attivare percorsi di ricerca/azione e di crescita professionale collettiva a beneficio dell’intera comunità educante.
Inoltre, i dirigenti scolastici trentini sono valutati. Una parte della loro retribuzione è determinata dai risultati conseguiti. Il sistema di valutazione è triennale ed è definito da una nota metodologica deliberata dalla Giunta provinciale. La Provincia preliminarmente adotta i criteri e gli indirizzi generali destinati alle istituzioni scolastiche e formative per il coordinamento complessivo del servizio educativo, necessari per l’elaborazione da parte di ciascuna scuola del proprio piano di miglioramento. Quindi definisce gli assi strategici di intervento e per ognuno di essi sono esplicitati gli obiettivi e gli indicatori di risultato. Il nucleo provinciale di valutazione valida obiettivi e indicatori. Per ogni obiettivo è prevista la realizzazione di un piano operativo che evidenzi come gli obiettivi sono/non sono stati raggiunti. Il dirigente scolastico in piena autonomia e responsabilità, individua due assi strategici di intervento e gli obiettivi da raggiungere mettendo in atto tutte le azioni opportune per concordarli e promuoverli nella comunità professionale e sociale di riferimento. Il piano operativo è oggetto di valutazione esterna da parte di ispettori tecnici. Al termine del periodo di valutazione, il dirigente generale verifica lo sviluppo del piano operativo e valuta l’effettivo raggiungimento dei target dichiarati per ciascun indicatore e, quindi, definisce il punteggio di valutazione e la conseguente valutazione finale. Il nucleo provinciale di valutazione valida le schede finali di valutazione dei dirigenti, verificando che il dirigente generale abbia svolto correttamente il processo e abbia utilizzato in modo opportuno gli strumenti previsti dalla metodologia approvata. Per effetto della valutazione finale i dirigenti vengono classificati in 4 gruppi: A, B, C e D a cui spetta rispettivamente il 100%, l’80%, il 60% e lo 0% della retribuzione di risultato.
Questo succintamente il sistema di valutazione dei dirigenti scolastici trentini. Se e come lo stesso contribuisce ad ottenere risultati di eccellenza da parte degli studenti trentini non è dimostrabile scientificamente, ma certamente una qualche influenza positiva la determina.
A livello nazionale, invece, abbiamo un percorso accidentato iniziato con l’art. 25 del D.Lgs. 165/01, proseguito con il D.Lgs. 150/09, configurato nella struttura dal DPR 80/13 (sistema nazionale di valutazione) e forse completato dal comma 93 della legge 107/15 che definisce i criteri generali nell’individuazione degli indicatori per la valutazione dei dirigenti scolastici.
Va ricordato che già entro il 31 dicembre 2014 l’Invalsi avrebbe dovuto definire tali indicatori in coerenza con le disposizioni contenute nel D.Lgs. 150/09 e nel DPR 80/13. La questione non è più rinviabile pur nella specificità delle funzioni che la dirigenza scolastica rappresenta. La legge 107/15 sulla Buona Scuola può rappresentare l’occasione per ricalibrare la funzione del dirigente scolastico e recuperare la consapevolezza che questi è a capo di un’istituzione che eroga un servizio di istruzione, formazione ed educazione. Davvero un leader educativo con strumenti e personale adeguati per il miglioramento dell’offerta formativa e che risponde dei risultati conseguiti. C’è da augurarsi che questa sia la volta buona. E che finalmente anche a livello nazionale diventi operativo un sistema organico di valutazione dei dirigenti scolastici. Altrimenti i detrattori della Buona Scuola potranno continuare a far rullare i loro tamburi insistendo nel mettere in discussione l’autorevolezza e garanzia dei dirigenti nel delicato ruolo di presiedere il nucleo di valutazione dei docenti ed alimentando la percezione di una dirigenza antagonista e, quindi da abbattere all’interno del sistema scuola. Molto della Buona Scuola si gioca in quest’ambito. Trento può essere un esempio, ma non basta.