Valutazione, premialità e fine dell’inamovibilità sono indispensabili alla nuova dirigenza di efficienti servizi pubblici moderni, non solo nella scuola. Fino a che i dirigenti degli uffici pubblici non risponderanno personalmente del loro funzionamento, continueremo a pagare le conseguenze di una burocrazia inefficiente. 



Per la scuola ancora oggi siamo in attesa dell’attuazione dell’art. 25 del DLgs 165 (ripreso dai commi 93 e 94 della legge 107/2015, Buona Scuola) che dal 2001 prevedeva la valutazione dei presidi.  

A parole la necessità della valutazione nel sistema scolastico italiano raccoglie consensi da tutti. Ma quando poi si deve passare a delinearne l’attuazione (chi, cosa, come, quando, perché), allora scatta la vera immagine delle professioni, sia pubbliche che private: la corporazione. Persino i notai hanno alzato scudi sulla questione.



Mentre chi dirige una scuola non statale è di fatto valutato attraverso la reale possibilità di perdere il posto, per i dirigenti delle scuole statali a tutt’oggi non è chiaro a chi debbano rispondere e quindi chi debba avere il compito di esigere serietà di risultati e assegnare adeguati riconoscimenti. 

Nonostante il DPR 80/2013, che avrebbe dovuto istituire il Sistema Nazionale di Valutazione (Snv) delle scuole, siamo ancora in attesa di vedere qualcosa di chiaro e complessivo: in realtà vediamo solo spezzoni (test Invalsi, Rav), privi di risorse (è recente il tentativo del Parlamento di toglie fondi all’Invalsi), di personale e di un sistema ispettivo efficace e adeguato. 



Uno dei problemi (non il principale) emersi dai vari esperimenti passati (i SiVaDis dal 2008 in poi) è sicuramente quello delle risorse economiche, problema sul quale casca ogni paragone: il Trentino e la Val D’Aosta hanno tali risorse economiche da rendere impossibile un trasferimento del loro modello valutativo nel resto della penisola. Basti pensare che, se si generalizzasse il modello trentino, occorrerebbero almeno 1500 ispettori tecnici: oggi ce ne sono 150!  

Per un serio e coerente Snv ci sono poi da risolvere altri gravi problemi. 

Innanzitutto la dimensione reale delle scuole statali, che ha raggiunto medie tra 1200-1600 alunni, con forti divari nel paragone con le regioni a statuto speciale o con diverse regioni del sud. C’è poi la gravissima previsione per settembre 2016 di quasi 3mila scuole senza una dirigenza scolastica stabile, a causa dei ritardi e del cattivo funzionamento dei concorsi statali. Mentre il Trentino Alto Adige (proprio in forza della propria autonomia e del piccolo numero di scuole) ha potuto in pochi anni non solo coprire tutti i posti con titolari stabili, ma persino rinnovare tutta la dirigenza scolastica, nel resto della penisola ci sono migliaia di scuole che da molti anni non hanno più una dirigenza stabile. Come applicare a chi si trovasse da settembre 2016 a dirigere queste scuole (ammesso che questo accada…) le stesse modalità, criteri e parametri utilizzati per la valutazione di chi dirige una scuola che ha sempre avuto un dirigente stabile; oppure come applicare a dirigenze per 1800 alunni e 12 plessi gli stessi criteri usati per unità di 600 alunni con un plesso? 

Purtroppo neppure la legge 107/2015 (cosiddetta Buona Scuola, commi 93 e 94 — che pure non è riuscita ad offrire una visione complessiva di quale futura scuola si voglia in Italia), ribadendo il modello legislativo del 2001, ha assunto scelte di una chiara direzione per la valutazione, pur senza togliere valore al timido tentativo di introdurre nelle scuole almeno “l’idea” di valutare anche la professione docente. Si tratta di una legge che, nonostante i proclami e le dichiarazioni sindacali, non valorizza in alcun modo la dirigenza scolastica (tranne l’unica novità, anche questa vincolata, di poter decidere un “premio” economico ai docenti, solo dopo, però, che i docenti hanno stabilito i criteri con cui farlo!). 

Sostenere che le ricerche internazionali più serie (come Disal ha sempre sostenuto) mostrano il contributo decisivo di buoni dirigenti scolastici ai buoni risultati delle scuole non basta per stabilire l’avvio della valutazione di questa professione statale al di fuori di una valutazione complessiva delle scuole e delle prestazioni dei docenti e dei funzionari dell’amministrazione centrale e periferica.

Una letterale lettura dei criteri generali ai quali dovrà attenersi la valutazione dei presidi secondo la legge 107/15, collega questa ai risultati previsti dal Rav (il Rapporto di autovalutazione steso a dicembre dalle scuole) e quindi anche ai risultati didattici degli alunni, risultati che ovviamente solo in modo molto indiretto possono essere ricondotti all’azione direttiva.

Se non si attua un coerente quadro di un complessivo Snv per tutta la realtà scolastica e per tutti i professionisti della scuola, si rischia di fare dei dirigenti scolastici non i protagonisti del processo di riforma, ma i capri espiatori delle disfunzioni e degli insuccessi. La tristissima vicenda di Livio Bearzi, giudicato da un tribunale solo colpevole, in tutta l’Aquila, delle vittime di un crollo, sembra radicalizzare la solitudine giuridica e tecnica di questa professione, sola a rispondere delle disfunzioni di un sistema dove i sindacati ripetono che “nessuno mi può giudicare”, dove gli enti locali sono assenti e dove il posto di dirigente è ritenuto così importante da legge e contratti da non prevederne neppure la piena sostituzione in caso di assenza. 

La scuola italiana ha urgente bisogno di ritrovarsi comunità, autonoma e libera, che risponda al proprio territorio (non ad un anonimo apparato), guidata da persone alle quali è detto con chiarezza chi la deve governare, riconosciute adeguatamente nella loro professione, organicamente inserite in una trama di libere relazioni che permettano loro di riscoprire quel senso di appartenenza, di servizio, di sacrificio oggi invece mortificati da un apparato che li tratta da funzionari.