La recente pubblicazione del rapporto Italiani nel Mondo, 2016 della Fondazione Migrantes ha riportato all’attenzione pubblica il fenomeno dell’emigrazione di molti nostri connazionali, soprattutto giovani. 

Nell’anno 2015, 107.529 italiani hanno lasciato il Paese alla volta dell’estero (+6,2% sul 2014). Di questi, la fascia 18-34 anni è la più rappresentata, con il 36,7%. Il continente europeo si conferma la prima destinazione con il 69,2% di trasferimenti, la maggior parte dei quali alla volta di Germania e Regno Unito.



Non è certo un fenomeno dell’ultimo momento e molte considerazioni sono già state fatte a riguardo. Tuttavia, tanto l’esperienza personale maturata in università, quanto il fatto che tra quei 107.529 italiani rientrano amici e conoscenti, hanno favorito in me un reale interesse nel guardare questo fatto in modo critico e approfondito, per cercare di capirne le cause (con gli strumenti che i miei 23 anni mi concedono). 



E’ davvero solo una fuga rassegnata quella di tanti giovani che, soprattutto per motivi di studio e lavoro, lasciano il nostro Paese? La loro è una decisione obbligata, dovuta semplicemente a mancanza di alternative in Italia? Purtroppo, può essere che per alcuni sia così. Io però vorrei rispondere, come accennato in precedenza, partendo da quanto vissuto in questi quattro anni di università e dall’amicizia che mi lega a persone coetanee o appena più grandi che si sono trasferite all’estero per motivi di studio e di lavoro. Il primo dato di fatto è che, se si parla di fuga di cervelli, significa che i cervelli ci sono e che le nostre università sono in grado di offrire una formazione apprezzata in tutto il mondo. Ecco un altro dato interessante: dei 107.529 espatriati nell’anno 2015, ben 20.080 (un numero ben al di sopra della media regionale) provengono dalla Lombardia, ovvero la regione che indubbiamente offre le eccellenze universitarie e le migliori possibilità di lavoro. Pertanto, affermare che il motivo che spinge i giovani a lasciare il nostro Paese sia solo la mancanza di possibilità in Italia non mi sembra del tutto esauriente. 



Questi dati mostrano soltanto qualcosa di negativo? A mio giudizio no. Lo dico poiché questi anni di università hanno effettivamente allargato i miei orizzonti: lo studio dell’economia, svolto sia personalmente che mediante il confronto con compagni e docenti, ha contribuito non poco ad allargare i miei interessi e far nascere curiosità per ciò che succede nel mondo.

Il fatto che l’università sia ancora in grado di formare persone, educandole a un pensiero critico e non miope e fornendo strumenti per comprendere quanto succede intorno a noi, a mio avviso è qualcosa di positivo e non negativo. 

Naturalmente ci sono problemi evidenti che sono sotto gli occhi di tutti e che non voglio assolutamente trascurare. Ad esempio, il fatto che il nostro Paese non sappia valorizzare tutto quel potenziale di molti giovani laureati che solo all’estero trova la possibilità di esprimersi. Tuttavia, quello che secondo me poco si considera analizzando questo fenomeno, è che ci sono tanti giovani italiani che hanno il coraggio di rischiare, di mettersi in gioco nel mondo, ciascuno con la sua storia e le sue motivazioni, che non hanno paura di valorizzare le proprie passioni e di cercare il meglio per sé. A mio giudizio questo non significa venir meno all’amor di Patria: tutt’altro. Bisogna constatare che per molti giovani italiani, ormai, la Patria è il mondo. In un contesto in cui prevale la paura dell’altro e del diverso, la logica del “prima noi poi gli altri”, la costruzione di muri per difendere quelle poche certezze rimaste, questi giovani, per me, sono un punto da guardare e da cui ripartire.