Ben 9000 cittadini italiani, provenienti dalla società civile, professionale, istituzionale, come i Trecento di Leonida alle Termopili, hanno sottoscritto un appello on line per” salvare” il liceo classico, indirizzando una lettera aperta al presidente della Repubblica, al ministro titolare del Miur e al direttore generale per gli Ordinamenti scolastici e per l’Autonomia scolastica. “Il calo delle iscrizioni registrato” si legge “negli anni passati non deriva da una scarsa attrattiva delle discipline che vi si insegnano, né da una arretratezza delle metodologie utilizzate, che sono anzi in continua evoluzione e lontane da un grammaticalismo fine a sé stesso, ma principalmente dal fatto che ormai gli studenti non sono più messi in grado di sceglierlo consapevolmente e liberamente: dal ciclo scolastico precedente (le ‘medie’) è stata infatti eliminata la storia antica, e con essa l’ultima disciplina ancora riferibile al mondo classico”.



La dose viene rincarata: “Soprattutto questa cancellazione (cioè della storia antica) — incomprensibile in un Paese con il maggior numero al mondo di siti considerati ‘patrimonio dell’umanità’ — sta soffocando gli studi classici, rendendoli, come accadeva una volta, socialmente elitari e discriminanti. Gli unici a poterli scegliere sono infatti ormai quasi soltanto coloro che li intraprendono per tradizione o indicazione familiare”.



Mi permetto di dire che se gli estensori di questo documento pubblico individuano nella cancellazione dell’insegnamento della storia antica al primo anno di secondaria di primo grado (leggi in burocratese: scuola media) come una causa assai importante (essi usano ‘soprattutto’), mi verrebbe da replicare la leggendaria domanda che fu rivolta all’Ariosto: “Ma Messeri, dove mai avete trovato tante corbellerie?”.

In base alla mia (modesta) esperienza di docente di lettere della scuola e (ancor più modesta, quasi una tamerice) di studioso di didattica delle lingue classiche, mi sono occupato dell’orientamento in uscita dalla terza media: il calo di iscrizioni è un problema più complesso e va inquadrato nel dibattito tra lingue vive e morte, per tacere di aspetti sociologici eccetera. Capisco benissimo che una lettera aperta debba funzionare un po’ come asposdoketon in un epigramma della migliore tradizione dell’Antologia Palatina, ma  un minimo di verità andrebbe ribadita. Questa non è certamente la sede per riprendere un’annosa questione. Ma bastino pochi schizzi…



Anzitutto, bisognerebbe migliorare e consolidare le competenze metalinguistiche dell’alunno in uscita della scuola media con adeguati interventi: chi insegna nella scuola media sa bene le mille barriere e le proteiformi variabili che intervengono nell’azione educativo-didattica per il preadolescente. Ma senza scomodare pedagogisti sempre inclini alle geremiadi sulle maestre e sui professori, farei umilmente notare ai sottoscrittori del documento che nel programma di italiano della prima media i ragazzi studiano l’epica classica e in antologia si legge la fiaba e il mito. Cosa vogliono di più? 

Occorre invece lavorare di più sul metodo di studio di una disciplina complessa come la storia durante il triennio della scuola media, per poter fornire gli strumenti allo studente onde poter affrontare lo studio del monstrum nefandum della cosiddetta geostoria, partorita dal genio gioviale di qualche tecnocrate del Miur ai tempi della riforma Gelmini… 

Si evidenzia infatti nella lettera aperta della taskforce del liceo classico: “Lo studio delle lingue antiche deve inoltre essere sempre adeguatamente contestualizzato; appare perciò prioritario rendere di nuovo la storia una disciplina autonoma, dotata di specifica valutazione e di spazi orari adeguati (e quindi non confusi, come ora accade, con la geografia), nel biennio ginnasiale, proprio quando si approfondiscono le civiltà del mondo antico”. 

Non è che un’ora in più di storia o geografia del ginnasio abbia dirette conseguenze sulle umane sorti progressive degli studenti che possono diventare iuvenes translatores (c’è una gara dove i giovani sono chiamati a tradurre un testo fornito dal Miur dalla propria lingua madre a una lingua — moderna —dell’Unione Europea… e il nome è in latino!). Mentre gli estensori come novelli paladini delle lingue classiche si definiscono con una parola inglese! Vi è quasi una spassosa, anzi aporetica, contraddizione!

La lettera così si conclude: “chiediamo dunque di rivitalizzare e rilanciare il ginnasio-liceo classico, di non impoverirlo nei suoi contenuti e nei suoi caratteri fondanti, ma al contrario di arricchirlo di quegli apporti culturali che negli ultimi anni gli sono stati improvvidamente sottratti”.

Ma se rivitalizzare significa promuovere iniziative nostrane come il processo al liceo classico, la notte bianca del liceo classico e i mille certamina che infestano la nostra patria delle lettere, io mi metterei le mani di capelli  pure se fossi il crine della Medusa! Come spesso accade in Italia, si perde la sostanza del problema e solo una sereno ragionamento condiviso potrebbe cercare soluzioni per “salvare” il liceo classico che è veramente un vanto tutto italiano di cui andare orgogliosi di fronte a tutto il mondo.

In conclusione, per il contesto di uno dei tanti appelli buttati sulla platea del web,  mi viene in mente una pagina foscoliana: “Chiesi la vita di Benvenuto Cellini a un librajo — Non l’abbiamo. Lo richiesi di un altro scrittore; e allora quasi dispettoso mi disse, ch’ei non vendeva libri italiani. La gente civile parla elegantemente francese, e appena intende lo schietto toscano. I pubblici atti e le leggi sono scritte in una cotal lingua bastarda che le ignude frasi suggellano la ignoranza e la servitù di chi le detta. I Demosteni Cisalpini disputarono caldamente nel loro senato per esiliare con sentenza capitale dalla repubblica la lingua greca e la latina”. 

Ma, al di là dei pur condivisibili buoni propositi di demosteni affabulatori, spasimanti difensori delle lingue classiche, è piena anche l’ambone internettiano…