I dati presentati ieri dal ministro Giannini del rapporto di monitoraggio delle attività di alternanza scuola-lavoro realizzate nell’anno scolastico 2015/2016, primo anno di applicazione della legge 107/2015 (Buona Scuola) confermano quanto era prevedibile: con l’introduzione di un obbligo normativo tutte le scuole hanno attivato progetti di alternanza. Infatti, rispetto all’anno scolastico 2014/2015, è aumentato del 139% il numero di studenti in alternanza, del 154% il numero di percorsi attivati e di quasi il 70% quello delle scuole coinvolte. A subire un vero e proprio boom il numero dei liceali: da 12.371 nell’anno scolastico 2014/15 a oltre 227.000 nel corso del 2015/2016.  



Così come è aumentato il numero delle strutture ospitanti: 150.000 strutture ospitanti (+41% rispetto allo scorso anno). 

Possiamo dire che le scuole hanno risposto al compito assegnato dalla norma. Quello che il monitoraggio ancora non rileva è la durata dei 29.437 percorsi che hanno coinvolto i giovani quest’anno e la tipologia delle azioni realizzate. Questo dato sarebbe stato indicativo della qualità dei progetti attivati e del tipo di progettualità attivata per la loro realizzazione.



In tal senso, il monitoraggio rileva che l’adempimento è stato correttamente eseguito (il 96% delle scuole ha realizzato azioni di alternanza) ma non misura l’effettivo valore dei progetti formativi, consegnando un dato quantitativo che poco dice ancora sulle modalità di applicazione di questa metodologia didattica che si sostiene con un finanziamento stabile alle scuole di 100 milioni annui, a cui si dovrebbe aggiungere la novità prevista dalla legge di stabilità che consente alle imprese che hanno accolto studenti in alternanza di assumerli con una decontribuzione triennale.



Il monitoraggio avrebbe potuto rappresentare l’occasione per smentire (o confermare) la tesi di quanti ancora osteggiano l’alternanza ritenendo che alcuni stage abbiano davvero molto poco di formativo.

Inoltre, sarebbe stato interessante capire quanti di questi stage siano stati attivati nel periodo estivo per rispondere alla polemica di chi ritiene che spesso le aziende utilizzano in maniera impropria l’alternanza per dotarsi di vera e propria manodopera, così come le scuole tendono ad aggiungere l’alternanza oltre il monte ore scolastico, invece di utilizzare l’alternanza quale modalità alternativa alle lezioni frontali per il raggiungimento degli obiettivi curricolari.

Il fatto che il 36% delle attività di alternanza si sono svolte presso imprese, se denota una buona disponibilità del tessuto produttivo all’accoglienza in alternanza, dall’altra parte dovrebbe essere valorizzato anche nei suoi aspetti qualitativi. Così come il ministero sta raccogliendo le migliori esperienze di attuazione del “Piano nazionale scuola digitale”, così sarebbe utile raccogliere, modellizzare e diffondere le best practice dell’alternanza scuola-lavoro, anche con una progettualità pluriennale.

Certo, che i “Campioni dell’alternanza” presentati dal ministro fossero grandi imprese era anche prevedibile, in quanto diverse di loro hanno già maturato una pluriennale esperienza in tal senso (ad es. Bosch, Enel, Fiat, ecc.). E’ auspicabile che in futuro siano valorizzate anche le esperienze delle piccole e medie imprese che, pur accogliendo singolarmente un numero di studenti inferiore, rappresentano tuttavia il tessuto imprenditoriale più diffuso nel Paese e possono maggiormente far evolvere una cultura territoriale di alleanza tra azienda e scuola.

Per questo sarebbe anche utile favorire la nascita di azioni territoriali, anche con il coinvolgimento delle parti sociali e della rete dei servizi al lavoro, che rafforzino le capacità delle singole scuole e imprese di fare matching tra di loro e che possano supportare le esperienze di alternanza attraverso strumenti operativi, progettualità ed esperienze. 

La notizia di una specifica linea di finanziamento nel Piano nazionale di formazione dei docenti riservata ai docenti che dovranno dedicarsi alle attività di alternanza, prende evidentemente atto della necessità di rafforzare specifiche professionalità per la realizzazione di tali percorsi, che richiede competenze specifiche che non possono essere improvvisate e che prescindono dall’essere o meno un buon insegnante nel senso tradizionale del termine.