E’ ancora legittimo porsi una domanda sull’essenza della tecnica e della tecnologia? Il mondo tecnologizzato che ci circonda, cui affidiamo molte delle nostre speranze in virtù della sua efficacia, può essere messo sotto la lente dell’indagine filosofica? La filosofia ha ancora qualcosa da dire e da scoprire nel momento in cui il mondo sembra essere ridotto ad energia e risorsa utilizzabile a vantaggio dell’uomo? 



Il tema scelto per questo anno dalla Bottega di filosofia di Diesse, un webinar di formazione per insegnanti di filosofia delle scuole secondarie diretto da Marco Ferrari, è proprio la questione del controverso rapporto tra filosofia e tecnologia, un argomento delicato perché, mentre i tecnici in vari ambiti continuano ad inventare dispositivi sempre più sofisticati e complessi, mentre il nostro modo di vivere viene continuamente trasformato e velocizzato da funzionalità impensabili fino a qualche anno prima, la domanda sul senso e il destino dell’uomo non cessa di emergere, anzi, si fa più urgente.



E’ convinto di questo il prof. Costantino Esposito (docente di Storia della filosofia all’Università di Bari) che ha trattato questo tema leggendo e ripercorrendo insieme ad una trentina di docenti presenti all’incontro due testi chiave della produzione heideggeriana sull’argomento: L’epoca dell’immagine del mondo (1938) e La questione della tecnica (1953). 

Il filosofo tedesco ribalta sin dalle prime pagine de La questione della tecnica il modo comune di intendere il rapporto tra uomo e prodotto tecnologico. Nella visione heideggeriana, infatti, l’uomo non è un semplice produttore di oggetti tecnologici ma è colui che permette a tali oggetti di venire all’essere, apparire, emergere. Uomo e tecnologia partecipano, infatti, di un avvenimento più grande che non dipende da loro, li determina continuamente e li guida pur non avendo un volto conoscibile e determinabile. E’ un avvenimento che si snoda nella storia e assume, a seconda delle epoche, volti, strumenti e linguaggi diversi senza identificarsi mai con nessuno di essi. 



Tale misterioso avvenimento — che Heidegger chiama evento dell’essere — ci raggiunge nella forma della tecnica e dell’epoca della tecnologizzazione e costantemente chiede a noi di riaprire la domanda sul suo significato. Non siamo noi, dunque, a dominare la tecnica e a sfidarla, chiedendole di raggiungere traguardi sempre più ambiziosi, ma è lei che insistentemente chiede a noi di comprendere quale sia la sua provenienza, quale sia quel mistero incalcolabile che rende possibile il calcolo, quale evento invisibile renda possibile gli oggetti visibili e manipolabili. Al fondo della tecnica c’è un mistero cui non possiamo dare un volto poiché esso trascende ogni possibile rappresentazione e di cui la tecnologia non è che un segno, una traccia. “Al fondo della cosa”, dice Heidegger, “siamo chiamati da un appello liberatore”. 

E’ dunque possibile e doveroso porsi una domanda filosofica sull’essenza della tecnica e sul suo senso. Tale domanda, tuttavia, non troverà mai risposta, l’attesa di significato che il fare tecnico suscita è continuamente rinnovata e allo stesso tempo perennemente disattesa. E’ per questo motivo che, secondo Esposito, la risposta che Heidegger fornisce alla questione della tecnica non è all’altezza della domanda posta. Il segno che è la tecnica nasconde l’evento, non lo rivela, anzi, pur accendendo costantemente la domanda sul suo significato lo allontana sempre più da noi. C’è dunque una religiosità al cuore del pensiero heideggeriano che, tuttavia, non trova sviluppi nei termini di una ricerca filosofica. Ma se, al contrario, il segno rivelasse la presenza del significato? Se esso rimandasse all’essere da cui proviene? E se esso, invece che celare il significato dell’evento, potesse permetterci di comprenderlo?

Tornare a pensare l’essere — ha sottolineato Esposito — evitando ogni sentimentalismo, è quanto mai urgente per noi docenti e per i nostri allievi, superando ogni possibile anacronistica condanna o entusiastica esaltazione della tecnica, per una comprensione sempre più profonda della nostra esperienza di uomini e del cambiamento d’epoca in cui ci troviamo a vivere.