C’era una volta la sceneggiata napoletana, nobile genere di spettacolo, sottocodice del dramma, con sue regole di funzionamento, i suoi personaggi peculiari — maschere fisse, figlie della plurisecolare tradizione teatrale italica —, finalizzato all’intrattenimento e al coinvolgimento emotivo dello spettatore (ricordate la famosa scena delle due vecchine che escono dal cinema e dicono: “Come ci siamo divertite! Abbiamo pianto tanto!”), secondo l’antica tradizione del docere, movere, delectare di ciceroniana memoria. Bene. A scuola, invece, abbiamo la scemeggiata, acquisizione permanente di ogni consiglio di classe (per brevità: Cdc) che si rispetti.



Ma andiamo con ordine. Se riuscite a uscire indenni dai primi collegi docenti dell’anno, se avete arpionato il vostro segretario (vedi l’episodio precedente, sulla “caccia grossa al segretario”), siete pronti per inaugurare, da buoni coordinatori di classe, il vostro Cdc. Il primo, solitamente, è riservato alla sola progettazione didattica e non prevede la presenza dei genitori, ma è riservato ai soli docenti. In altre parole, i prof di ogni classe si riuniscono, e, nel segreto conciliabolo, elaborano la proposta didattica per l’anno a venire. Ovvero: il coordinatore di classe si trova a dover gestire e ripartire avvenimenti, conferenze, attività miste, varie ed eventuali quali gli interventi di:



Educazione alla salute: si va dalla presentazione delle attività di Avis, Aido, etc, sino ad incontri con medici ed esperti sulla prevenzione delle malattie tumorali o sui danni del fumo, dell’alcool, o sulla prevenzione dei disturbi alimentari;

Educazione all’affettività e promozione di stili di vita sani: di questo purtroppo non vi so dire molto, perchè di norma i formatori esterni — psicologi, operatori di comunità e personale sanitario — chiedono che i ragazzi “per non sentirsi imbarazzati e per esprimersi più liberamente” siano lasciati in classe senza l’insegnante. E si sa, la curiosità è donna, ma non è etico né bello farsi beccare dal personale Ata ad origliare dietro la porta dell’aula; 



Uscite didattiche sul territorio, visite e viaggi d’istruzione. Qui si apre una battaglia anche peggiore di quelle che già il povero coordinatore ha sostenuto per trovare il segretario. Che la visita alla mostra sugli impressionisti, al Museo Egizio, all’Arena di Verona, a Capo di Ponte fra i reperti dei Camuni sia importante, in linea con il progetto didattico della classe, insomma, imprescindibile, nessuno lo nega. Ma per carità! Che non tocchi a me perdere una, due, tre ore. Insomma, sulla carta ogni proposta è “bella, interessante, didatticamente proficua”; nella prassi, avete presente la sindrome detta Nimby (Not in my back yard)? Ecco: è proprio questo che scatta.  

Secondo certi colleghi è tutto utile e interessante, ma non nelle loro ore. Perché? “Perché ho poche ore” (variante: “Perché la Riforma ha drasticamente ridotto il numero di ore della mia materia”); “perché sono indietro con il programma” (Ma come! Già a  ottobre?!); “Perché non ci credo” (sentita anche questa. Che cosa significhi non ve lo so dire, al di là del fatto che abbia un tono vagamente apodittico e lapidario).

Altra deliziosa incombenza del coordinatore è quella del trovare gli accompagnatori per i viaggi di istruzione e le uscite didattiche. Sì, perché è d’uopo che a un viaggio di istruzione partecipino almeno due classi o tre classi… ma dato che, per abbattere i costi di trasporto e per motivi logistici è ovviamente meglio accorpare le classi almeno per anni paralleli, e serve un accompagnatore ogni 15 studenti: fate voi i conti. Per condurre 60 ragazzi in visita a Roma o fra gli scavi di Pompei o a vedere il romanico pugliese (in autobus! Da Milano! Santo cielo che mazzata!) servono almeno quattro diconsi quattro baldi accompagnatori disposti a sobbarcarsi responsabilità, stress e tanta fatica. Più, ovviamente, un paio di riserve. Per la felice conclusione dell’operazione (per intenderci: senza accompagnatori, niente uscita didattica, niente viaggio d’istruzione) urgono, da parte del coordinatore, arti seduttive degne di Cleopatra quando era in forma, e una favella persuasiva quanto quella di Cicerone redivivo. A proposito, ci avete mai fatto caso? Viaggio d’istruzione è quasi omofono a Viaggio di distruzione.

– Numero e frequenza delle verifiche, tipologia delle medesime. Il Cdc è cioè chiamato a decidere quante verifiche e interrogazioni giornaliere al massimo può sostenere una classe. Solitamente ci si accorda salomonicamente per non più di una verifica scritta al giorno, senza porre limiti precisi al numero di interrogazioni orali, altrimenti, se si comincia a voler fissare anche questo, si fa notte. Altra fiera battaglia è quella che si combatte a proposito dell’annoso dilemma interrogazioni programmate o no? Se qualcuno invece ha opinioni diverse, si intavola una discussione, anche proficua, che supera la mezz’ora.

Quando poi, faticosamente, si è riusciti a quagliare e mettere nero su bianco uno straccio di progetto didattico e di piano di lavoro dell’anno scolastico, il consiglio può dirsi finito. Restano da scrivere quintalate di verbale (e per fortuna in alcune scuole si fornisce una intelaiatura generale) e da compilare paginate di moduli (uscite, viaggi di distruzione, rappresentazioni teatrali, eventi con esperti esterni, partecipazione a progetti, concorsi e bandi, attività preventivate per l’alternanza scuola-lavoro, ma questo merita un discorso a sé). Il coordinatore di classe è piuttosto scosso, ancora con l’occhio vitreo e appannato, ma ecco che, senza che abbia avuto il tempo di ripigliarsi, arriva il Cdc aperto alla componente genitori.  

Cioè, si vedrà piombare addosso come tanti falchetti orde di mamme — i papà, per motivi vuoi logistici che sociali, sono merce rara nel mondo della scuola — decise a difendere a colpi di artiglio il loro cucciolo dalle sperequazioni di quei cattivoni dei prof e dalle cosmiche ingiustizie cui il “sistema scuola” sottopone l’amato bene.

Naturalmente, il Cdc, il coordinatore lo ripete sempre, non è concepito per discutere le situazioni dei singoli studenti — per questo c’è il ricevimento genitori — ma tant’è, alla fine è molto difficile, alla faccia di tutti i discorsi sulla coesione del “gruppo classe”, trovare una dimensione e un tono comune nello spazio esiguo di un’ora o poco più, se non c’è stata, fra studenti e famiglie, una condivisione di intenti e idee nelle settimane precedenti.

E poi, diciamolo: il Cdc è un ottimo punto di osservazione per rilevare come anche nei rapporti umani viga una sorta di ordine darwiniano. Sullo sfondo dell’aula del consiglio, abbarbicati alla cattedra dietro cui si trincera il coordinatore, infatti, gongolano, sans en avoir l’air, placidi esemplari alfa e beta, i professori di lungo corso, quelli che la classe conosce ormai da due, tre, quattro anni. Secca dirlo, ma, fossero anche i peggiori insegnanti del mondo, l’effetto è quello della mitridatizzazione: ormai studenti e famiglie li conoscono, c’è stima, oppure, in qualche caso, di fronte alla comprovata inutilità di ogni strategia dialogica, e in qualche caso, didattica, è subentrato lo sfinimento e la volontà — bilaterale, va detto — di rimuovere il problema facendo giusto il minimo sindacale e soprattutto evitando i conflitti. Vittima designata, invece, esemplare omega dal destino segnato, come l’incauta gazzella che bruca inconsapevole e tranquilla — ahilei — isolata dal branco, pronta a  finire tra le fauci del leone, è invece il giovane prof, quello appena arrivato, magari pure severo quel tanto che basta e che ha fatto volare qualche tre e quattro nelle prime verifiche, terrorizzando la classe: qui il perfetto capro espiatorio del malcontento generale.

Vispe come tigrotti di Mompracem, le madri sono pronte a scagliarsi alla giugulare dell’incauto, lanciando i loro alti lai, che suonano a un di presso così:

– Mia figlia si alza la  notte alle 3 a ripassare! (nemmeno facesse la panificatrice, o la monaca trappista)

– Mio figlio dorme tre ore per notte! (e non sarà forse che è stanchino, e che anche per questo il rendimento è scarsuccio?) 

– Non si può rinunciare alle gioie della vita a sedici anni per la scuola! (Sentita anche questa: c’è sempre chi ama virare sul drammatico)

– Mio figlio non esce mai, passa i pomeriggi chiuso in camera e ha sempre insufficienze! (mi verrebbe da dire: visto che il ragazzo è un giovane sano, normodotato, e dato che in questi casi a un serio studio si accompagnano, solitamente, dei risultati, sufficienti o buoni che siano: siamo proprio sicuri che l’aspirante hikikomori nostrano… 

A) stia effettivamente sui libri e non si diletti con Playstation, cellulare, chat con gli amici, lettura di fumetti? 

B) non creda che lo stare sui libri sia accompagnato da effettivo studio, e non si limiti alla speranza di un passaggio per osmosi delle informazioni dal libro di testo su cui il ragazzo tiene i gomiti alla sua testa? 

– Mia figlia l’anno scorso aveva 9 in questa materia e adesso ha 4! Qui ci sarebbe da aprire una parentesi grande come una casa. Se si tratta di un consiglio di classe di prima superiore, è anche normale, fisiologico, che i voti numerici, 7, 8, 9 della scuola secondaria di prima grado non coincidano con quelli della secondaria di secondo grado: direi quasi che ci sarebbe da preoccuparsi del contrario. A volte, invece, è un problema di trasparenza, o di gestione delle informazioni. Qualche volta, ahimè, ho riscontrato come qualcuno preferisca cacciare la polvere sotto il tappeto, per poter dire ai genitori: “Tutto va ben, madama la marchesa (sottinteso: e le magagne se le smazzerà chi verrà dopo di me, o se non sanno scrivere, tradurre dal greco, fare le disequazioni, argomentare, leggere e comprendere autonomamente pagine critiche, beh, se ne accorgeranno all’università, e non sarà più affar mio: chi vivrà vedrà)”.

Ma questi sono discorsi che verranno più copiosamente affrontati, con la debita delicatezza comunicativa, nell’altro dei grandi totem della carriera di ogni professore: i colloqui scuola-famiglia. Allora sì che si parrà la nobilitade, e anche la diplomazia, dei docenti.