Venerdì 7 ottobre cortei di studenti della scuola superiore ed universitari sono sfilati in  una cinquantina di città italiane, fra cui Roma, Milano, Firenze e Palermo, per protestare non solo contro la Buona Scuola e il suoi dirigenti scolastici “superpresidi” e l’alternanza scuola-lavoro come sfruttamento di manodopera giovanile (questi gli slogan più gettonati), ma anche e soprattutto contro di chi della Buona Scuola e del referendum costituzionale è stato indicato come l’artefice (e si è, in effetti, autopromosso come tale), il governo Renzi. Gli slogan sono netti: “Cacciamo Renzi”, “Renzi a casa a calci”, “Ci volete servi, ci avrete ribelli”, “La Generazione ingovernabile torna nelle strade. Cacciamo il governo Renzi” ed il succo chiaro; noi (gli studenti) non ci stiamo, via Renzi ed il suo governo. Seguiranno altre manifestazioni, annunciano le sigle studentesche, per un autunno caldo che non finirà prima del 4 dicembre, giorno in cui si voterà per il referendum costituzionale.



Che una protesta di piazza sia una protesta, e quindi un “contro” qualcuno o qualcosa, è tradizione democratica; si scende in piazza per rivendicare un diritto negato o usurpato. Altrettanto democratica la commistione fra istanza sociale, il diritto all’istruzione, e la lotta politica; si scende in piazza per protestare contro un governo, un ministro, un presidente, un tiranno iniqui. Sempre tipica della manifestazione di protesta è l’intento di creare disagio,  con il blocco della libera circolazione di mezzi e cose (5mila a bloccare Palermo) — mezzo lecito —, e i danni materiali arrecati a immobili e cose (calci e spintoni a Roma, vernice rossa a Firenze) — mezzo illecito.



Nessuna di queste componenti è mancata nei corti di piazza; e quindi benvenuti nell’età della rivoluzione dei giovani? Gli studenti italiani si sono destati e una primavera italiana sta sbocciando? Se una rondine non fa primavera, 5mila studenti a Palermo e 4mila a Firenze, per citare due dei cortei più significativi, non fanno una rivoluzione di massa su una popolazione di circa 2.700.000 studenti. Venerdì ragazzi e ragazze delle superiori sono andati a scuola, e il loro coinvolgimento nel dibattito politico Buona Scuola /Governo Renzi /referendum costituzionale Sì/No sarà solo passivo, quando il 21 ottobre non si troveranno in classe taluni dei loro insegnanti, per lo sciopero nazionale proclamato, sempre contro la Buona Scuola, per quella data.



Ma essere in pochi contro i molti non è segno di errore; “In una terra di fuggitivi, colui che cammina nella direzione contraria sembra che stia fuggendo”, ebbe a dire il poeta T.S. Eliot, e in una terra di inetti coloro che camminano sembra che sbaglino. I cortei studenteschi del 7 ottobre, dove i tentativi di violenza sono stati moderati sia dall’intervento delle forze dell’ordine che dai manifestanti stessi, non sono in torto per la scarsa consistenza numerica delle adesioni raccolte. E nemmeno l’evidente dimensione politica della loro protesta è stigmatizzabile.

Se un torto è da imputare a chi ha partecipato a questi cortei, non è di aver portato striscioni contro Renzi, e nemmeno di aver gridato che la democrazia, con Renzi e la Buona Scuola, è morta; il torto è l’assoluta infondatezza delle critiche mosse verso la Buona Scuola. 

A fronte di un organico del potenziamento (dicitura erronea per la legge, ma che identifica i neo immessi dalle Gae in fase C a novembre 2015) utilizzato per supplenze, e discordante in gran parte con le esigenze della scuola che ne fece richiesta, non vi è stato alcuno strapotere dei presidi-sceriffi. E parlare di sfruttamento degli studenti per l’alternanza scuola-lavoro fa sorridere, visto che nel corso dell’anno scolastico 2015/16, il primo anno di attuazione dell’obbligo dell’alternanza scuola-lavoro, più che di lavoro in azienda si è fatta man bassa di Ifs (Impresa formativa simulata) e Unità didattiche di apprendimento. E certo nel corso dell’estate 2016 non si è avuta quella ripresa economica a due cifre che potrebbe determinare una necessità di manodopera tale da rendere reale per l’anno scolastico in corso la protesta degli studenti contro lo “sfruttamento”.

Il sugo della storia? Se si scende in piazza, occorre che la ragione sia fondata, e visto che la Buona Scuola di pecche ne ha, e tante, il prossimo corteo potrà aspirare ad essere una primavera italiana se la sua forza, se non sarà nel numero dei partecipanti, sarà nella verità delle critiche che porterà alla 107/15.