Parlare del liceo classico è diventato, negli ultimi tempi, una sorta di refrain al pari di stereotipi incancreniti sulla bocca del popolo sovrano di una democrazia incompiuta: il politico che ruba, i docenti hanno tre mesi all’anno di ferie, in posta non si lavora… et coetera coetera. Anche Luca Ricolfi, dalle pagine dell’inserto culturale del Sole 24 Ore, è ritornato di recente a puntare il bersaglio sul liceo classico: egli è uno dei 9mila cittadini che non ha potuto non firmare l’appello per la salvazione del liceo classico promosso on line, di cui già parlai in un precedente articolo.
E’ ovvio: idealmente sottoscrivo pure io questo appello, anche se non condivido l’impianto generale del testo che è formato, secondo Ricolfi, da “limpide e convincenti parole”. Ha ragione Ricolfi quando parla di una evidenza sociologica di cui è esperto: la visione del mondo propria della società liquida di oggi è basata sulla paura di molte cose, tra cui compare anche la complessità e, per proprietà transitiva, la difficoltà di uno dei pochi indirizzi della scuola secondaria di secondo grado che richiede (ancora) fatica e impegno ovvero il liceo classico. Secondo un articolo apparso sul Corriere della Sera il 2 novembre scorso, in base a una ricerca Almalaurea condotta per il quotidiano, “chi si diploma in questo indirizzo ha voti più alti ed è più motivato… a Bologna quelli iscritti a Medicina” che hanno fatto il liceo classico “battono i colleghi dello Scientifico per media di voti d’esame, voto di laurea e regolarità di studi. Lo stesso a Roma, alla Sapienza; e al Politecnico di Milano, dove il rettore, Giovanni Azzone, ha elogiato gli ottimi risultati dei diplomati classici”.
E dunque perché c’è stato un calo vorticoso dei ragazzi al liceo classico, quasi dimezzato dal 2007? Solo 6 ragazzini su 100 si iscrivono al classico. Il latino fa paura? Ci sono, inoltre, molti ragazzi che dalla scuola media si iscrivono al liceo scientifico “senza il latino” di cui c’è stato un vero e proprio boom negli ultimi 10 anni. Il discorso sarebbe lungo e complesso. Mi riprometto, un giorno, di azzardare audacemente, aiutato dalla Fortuna, qualche osservazione “sociologica” dal mio punto di vista di ex docente di lettere di scuola media “capitato” a insegnare in un liceo scientifico delle scienze applicate cioè quello “senza il latino”! Leggo intanto le parole del collega Massimo Cazzulo, grecista e docente al classico Tito Livio di Milano, e sorrido per il carico di stereotipi contro cui Luigi Miraglia, propugnatore del metodo natura e uno degli ultimi parlanti nativi rimasti a Roma, ha condotto le sue battaglie, in relazione alle millantate proprietà taumaturgiche delle lingue classiche: “Tradurre un testo classico significa mettere in atto, e simultaneamente, un ragionamento complesso che stimola i processi analitici, sintetici, intuitivi, gnoseologici, che induce a impostare un’ipotesi di lavoro e sottoporla, poi, ad una critica serrata, per vedere se funziona realmente. E questo spiega perché gli studenti che escono dal Classico ottengono risultati eccellenti anche in materie molto lontane dalla classicità”.
Ma la diminuzione delle ore curricolari del latino per effetto della cosiddetta riforma Gelmini ha avuto il “merito” di risvegliare in un certo senso le coscienze di quei docenti ancora legati all’antichistica. Tra le recentissime iniziative volte alla rivitalizzazione dell’istruzione classica, c’è la Certificazione linguistica latina che nasce dalla collaborazione tra la Consulta degli studi latini e singoli Uffici scolastici regionali, in attesa di un piano di rilevanza nazionale sotto la guida del Miur: si vuole cioè valorizzare le eccellenze nell’ambito dei percorsi di istruzione della scuola secondaria di secondo grado e favorire nelle scuole superiori, specie nei licei, una maggiore attenzione agli strumenti della valutazione e della certificazione delle competenze, sia in vista dell’iscrizione degli studenti alle facoltà universitarie e sia al fine di stimolare la lettura e lo studio degli autori classici e di promuovere la diffusione delle civiltà classiche nelle loro espressioni linguistiche, letterarie, filosofiche, artistiche e giuridiche.
L’iniziativa è un’opportunità per la scuola che la adotta, perché è un dispositivo per accrescere nel corso del quinquennio liceale la motivazione allo studio della lingua e della cultura latine, perché è uno strumento per l’orientamento universitario in chiave formativa e disciplinare, perché è un’occasione per riflettere sulla didattica del latino nell’ottica di uno sviluppo verticale e pluridisciplinare delle competenze. Ed è un vantaggio per lo studente che la ottiene perché è un’occasione autentica per mettere alla prova le proprie conoscenze e abilità, perché è utile ai fini dell’acquisizione di crediti universitari, perché arricchisce il curriculum studiorum di un titolo riconosciuto a livello nazionale (siamo sulla buona strada!). La Certificazione linguistica latina ha finora avuto postivi riscontri da parte dei docenti e degli alunni che vi hanno partecipato, ed tuttora in corso la discussione a livello di università, scuola e istituzioni per la sua strutturazione finale e il suo scopo intrinseco e formale.