Pasticcio Mc Donald’s. No, non è un nuovo menu disponibile presso tutti i fast food della Emme gialla, ma un altro tragicomico capitolo della telenovela dal titolo “Alternanza scuola-lavoro”, prodotta da “Buona scuola”. E’ successo questo: il Miur ha stipulato una convenzione col colosso americano dell’hamburger e delle patatine fritte, per mandare in stage di lavoro le migliaia di studenti italiani del triennio superiore per i quali è scattata, dall’anno scorso, la famosa alternanza di cui sopra.



L’altro giorno a Milano uno sparuto gruppo di irriducibili dei collettivi studenteschi ha assaltato il Mc Donald’s di San Babila al grido di “sfruttatori”. Milano è sempre quella, direte: nel Seicento l’assalto al Forno delle grucce, oggi al tempio del fast food. Solo che in questo caso non si tratta di gente affamata che picchia alle porte del fornaio, ma di gente indignata che grida contro gli accordi che il Governo fa con le multinazionali per fornire manodopera gratis con la scusa che così i giovani prendono contatto col mondo del lavoro (almeno questa è stata l’interpretazione dei facinorosi). E devo dire che, nonostante la ripulsa che io abbia nei confronti di questi collettivi studenteschi, stavolta chi manifesta ha delle ragioni.



In effetti questa alternanza scuola-lavoro (dal pesantissimo carico di 200 ore in tre anni sulla testa di ogni studente) rischia di diventare seriamente un grande business per quei soggetti che (più intraprendenti, lungimiranti e meglio organizzati di altri) riescono ad inserirsi nel gioco, o come promotori di progetti di lavoro-simulato (che il ministero finanzia per consentire agli studenti di “scontare” le loro 200 ore) o come ricettori di manodopera gratuita da utilizzare (sarebbe il caso di Mc Donald’s). Spesso, tra l’altro, riducendo lo spazio della didattica (perché certe attività vanno non in alternanza alla scuola, ma in alternativa).



Mi si dirà: ma questo è sempre avvenuto con gli studenti degli istituti professionali. Vero, ma la differenza è che questi studenti (prendiamo per esempio quelli di una scuola alberghiera) hanno da sempre svolto un’attività coerente e integrata col loro percorso di studi e tutto sommato (quanto a numeri) gestibile. Adesso, invece, si riversa nel mondo del lavoro una massa ingestibile di migliaia di altri studenti, compresi i liceali, per i quali spesso è proprio difficile, se non impossibile, trovare un’attività lavorativa coerente con quello che fanno a scuola. Tanto più se poi tutto deve essere rigidamente regolato da un sistema di convenzioni, da protocolli, addirittura dagli accordi dello Stato con soggetti privati.

Per cui può anche capitare che uno studente che lavora effettivamente nel suo tempo libero (magari percependo un salario) o che aiuta il padre nell’azienda di famiglia, non vede riconosciuto il lavoro che svolge, perché il suo datore di lavoro non è un soggetto autorizzato dalla scuola che frequenta.

Nella ditta del papà no, per Mc Donald’s sì. Come ribattere, con argomentazioni convincenti e fondate, all’accusa che si è creato un sistema per lo sfruttamento di manodopera giovanile da parte di alcune aziende con la fattiva collaborazione dello Stato? 

I venti apache che hanno assaltato il Mc Donalds’ di San Babila meritano, nonostante tutto, una risposta. 

E non solo loro!