Lo devo ammettere, sono tra coloro che non danno troppo peso alle classifiche tra scuole. Anche frutto di indagini serie, centrate sui risultati, come quella proposta quest’anno da Eduscopio, il portale della Fondazione Agnelli di Torino.
Perché, quando si parla di “risultati”, dobbiamo prestare attenzione alla complessità della sostanza, che ha mille sfaccettature. Basterebbe leggere bene il recente libro di un docente di storia e filosofia nei licei, Roberto Contessi, Scuola di classe (Laterza, 2016).
Perché in una scuola aperta, che sia davvero foriera di futuro per i nostri ragazzi, contano i processi, contano le relazioni che si maturano, contano le opportunità, le motivazioni. Contano gli incontri con docenti che ti aprono mente e cuore, che ti trasmettono passione e sensibilità, e non solamente nozioni. Per questo motivo, non ha più senso la selezione docente come è fatta ancora oggi, coronata puntualmente da sanatorie su sanatorie. In una parola, contano i processi più dei risultati misurabili da subito (“la scelta del dopo”). E contano le famiglie.
Come ripeto spesso, è facile costruirsi delle classi con pochi selezionati che garantiscono prestazioni, valutazioni, test superati. E’ facile, mentre il compito di una scuola non può essere questo.
Ma questa indagine — si potrebbe rispondere — ha solo “fotografato” l’esistente, cioè la “scuola buona” che ogni giorno vive i suoi compiti culturali e formativi.
Cosa conta, per chi vive la vita reale delle scuole? Conta il “valore aggiunto”, già al centro delle indagini Invalsi, difficile da misurare, eppure il vero timbro qualitativo. Mentre, ragionando solo in termini di prestazione e di risultati, quasi si pretende di assolutizzare dei cordoni scolastici, tra il prima ed il dopo, che non esistono più. Troppe sono le testimonianze contrarie, per cedere, da parte mia, su questo punto. Troppe.
Lo sfondo di una scuola è anzitutto educativo, prima che scolastico. E noi non sappiamo mai se quello che proponiamo, che cerchiamo di condividere in un dialogo quotidiano, poi si tradurrà in “risultati” da mettere come fiore all’occhiello nel nostro permanente marketing sociale, da esporre nelle fiere per l’orientamento scolastico.
Anche Alma Diploma e Alma Laurea ci danno dei riscontri. Ed io iscrivo d’ufficio tutti i ragazzi ad Alma Diplioma. Perché convinto delle opportunità di orientamento in itinere. Ma chiedo agli stessi ragazzi di non assolutizzare mai questi ed altri dati. Le dinamiche personali e sociali non lo consentono, prima delle mie convinzioni personali.
Chi crede alla cieca a questi dati, a questi indagini? Chi non vive la scuola dal di dentro, e si ferma solo alla superficie. La quale offre matematismi che dicono e non dicono, perché nemmeno sfiorano il cuore della realtà. Basta dare un’occhiata alle complicazioni dei nostri giovani non solo durante la scuola superiore, ma al momento della scelta universitaria o di un contratto di lavoro, durante l’università, poi, soprattutto, all’interno del guazzabuglio di contratti e contrattini…
Complessità, in poche parole, che sembrano lontane anni luce da certe percentuali. E chi dice, ad esempio, della sofferenza di questi ragazzi in rapporto alle loro domande di futuro possibile?
Allora, andiamo cauti, prendiamo in considerazione le indagini che vogliamo, ma relativizziamo. Facendo intendere che, al cuore di ogni percorso e di scelta, sta una persona, con le sue motivazioni, intenzioni, valori, sensibilità. Le quali si devono, cioè non possono non, misurare con spicchi di realtà che sembrano e poi, magari, non sono.
Come valutare le “scuole buone”, una volta detto questo?
Come per tutte le valutazioni, contano le analisi di esterni, ma che abbiano almeno il sentore della complessità dei percorsi educativi, prima che culturali e scolastici. Per quel valore aggiunto che nessuna statistica potrà mai portare completamente alla superficie.