Le trasmissioni fondate sui quiz hanno sempre ottenuto in televisione un grande successo. La ragione sta nel fatto che permettono a ogni spettatore di partecipare attivamente alla trasmissione, in quanto questi si diverte a rispondere in proprio alle domande formulate dal conduttore, possibilmente anticipando il concorrente effettivo.
La fondamentale differenza tra i moderni quiz e quelli degli anni Sessanta e Settanta sta nel livello di erudizione richiesto ai concorrenti. Come aveva ben chiarito Umberto Eco, erudizione non significa necessariamente cultura. Ma proprio Eco, sinonimo di persona colta, è stato un esempio di “erudizione divertente” e si è appassionato alla trasmissione “L’eredità”. Erudizione significa possesso di conoscenze acquisite in un campo; conoscenze minute, acquisite ricercando i dettagli ed esercitando anche una forma di pedanteria.
Nell’erudizione è però possibile distinguere due livelli: da un lato il semplice accumulo di informazioni senza che vengano formulati pensieri originali e senza esercitare valutazioni critiche; dall’altro l’erudizione che sta a fondamento della capacità di rielaborare le nozioni in quanto si accompagna all’acquisizione di automatismi e quindi libera risorse per esercitare forme di pensiero più complesse.
Nel libro di Umberto Eco Il secondo diario minimo (meraviglioso esempio di erudizione divertente) sono ad esempio raccolte, sotto il titolo “Filosofi in libertà”, le filastrocche in cui lo scrittore, rifacendosi a composizioni poetiche celebri, sintetizza con assoluto rispetto della metrica il pensiero di alcuni filosofi. Lo stesso Eco, nella presentazione di queste filastrocche, evidenzia come ciascuna di esse possieda un’assoluta correttezza scientifica, tanto da essere addirittura utilizzate da alcuni studenti per la preparazione dell’esame di maturità. Eco ne conclude: “scherzare sì, ma seriamente”. E’ proprio questa serietà che spesso manca nei quiz televisivi odierni: dove lo sforzo di memoria, peraltro minimo, fruisce di una serie di “aiutini” che fanno della risposta finale il semplice risultato di una serie di tentativi di indovinare.
Nei quiz televisivi emergono però altri elementi significativi. In primo luogo essi richiedono un lessico particolarmente ricco (come si chiamano i semini contenuti negli acini dell’uva?). In secondo luogo richiedono la conoscenza dei nomi dei luoghi geografici (qual è il secondo fiume di Roma?). Infine presuppongono il possesso di quadri di riferimento storico (in quale anno fu dichiarata la terza guerra di indipendenza?). Anche in questo caso ci sono aiutini che sminuiscono il valore delle risposte corrette, ma una qualche forma di conoscenza viene presupposta.
Nonostante ciò, i concorrenti compiono numerosi errori e questi sono la gioia degli spettatori più anziani, che non a caso amano molto questi quiz non soltanto perché sono la fascia di età che si accinge a cenare alle sette di sera, ma perché consentono loro di evidenziare “quello che sanno” e che ricordano di aver imparato a scuola.
Ma quale scuola? Le domande di questi quiz fanno raramente riferimento a quanto si dovrebbe aver imparato nella scuola superiore. Attingono invece a piene mani da quanto un tempo si imparava nella scuola elementare, tanto che a volte si nutre addirittura il sospetto che la Rai abbia assunto come consulenti vecchie maestre, ormai in pensione, che hanno insegnato quando l’acquisizione di contenuti era ancora considerata fondante e alla base della possibilità di esercitare successivamente il pensiero critico. Forse la Rai non ha assunto direttamente queste maestre (le nostre leggi impediscono agli insegnanti pensionati di continuare a mettere a disposizione la loro esperienza e il loro sapere), ma certamente ha assunto i nipotini di queste maestre, che quindi a casa chiedono consiglio alle nonne e poi formulano le domande come se fossero farina del loro sacco.
Sappiamo bene che queste ipotesi forse sono irrealistiche. Rimane però il dato di fatto che questi quiz rivalutano ciò che si insegnava nella scuola elementare di un tempo ed evidenziano come la trasmissione di conoscenze fosse uno dei compiti principali; il che non escludeva che si imparasse anche “come si pensa”. Infine questi quiz rivalutano la memoria: una memoria che non necessita di “aiutini”, perché quelle conoscenze si sono trasformate in automatismi e possono essere richiamate immediatamente, senza sforzo, anche a distanza di anni. Certamente saper rispondere alle domande dei quiz televisivi non permette di diventare necessariamente persone colte, ma è comunque uno degli elementi (anche se minimo) che ne permettono la realizzazione.
Una proposta: perché non si utilizzano questi quiz per selezionare o valutare gli insegnanti? Non sarebbe che una variante in più dei quiz con cui il ministero dell’Istruzione pretende di poter selezionare chi è o può essere un “buon insegnante”.