Dal 22 novembre i soldi sono in cassa e a dicembre (o al massimo a gennaio) i docenti “meritevoli” se li troveranno, una tantum, a rimpolpare lo stipendio. Parliamo del cosiddetto bonus per la valorizzazione del merito, introdotto dalla legge 107/2015 e arrivato al tornante della prima applicazione. Riguarderà quasi un terzo dei docenti di ruolo e avrà entità molto variabili: da irrisori minimi di 200 euro lordi fino a 1.500/1.800 euro annui. Ci saranno scuole che distribuiranno a pioggia all’80-90 per cento dei propri docenti e altre che premieranno pattuglie risicate del 10 per cento. Il pagamento immediato in realtà sarà solo dell’80 per cento della quota stabilita, perché per il saldo si attendono i pronunciamenti di alcuni Tar; infatti i sindacati maggiori hanno presentato ricorsi formali nel disperato tentativo di avere voce in capitolo in una vicenda che li ha visti radicalmente all’angolo. In alcune scuole tutti i docenti premiati riceveranno la stessa somma, in altre ci saranno distribuzioni a fasce con due o tre livelli di riconoscimento economico (bravo/bravissimo/eccellente). In alcune scuole per l’individuazione dei meritevoli peseranno anche i giudizi di studenti o genitori, in altre (la maggioranza) varrà il giudizio inappellabile del solo dirigente. In alcune scuole i nomi dei più bravi saranno resi pubblici e in altre rimarranno per sempre secretati.
Insomma una bella confusione per una faccenda che ha risvolti economici molto limitati, ma una portata teorica di forte innovazione. Sbaglia chi dice che con questo bonus si introduce la valutazione dei docenti, perché ciò significherebbe poter esprimere un giudizio su tutti loro e questa possibilità è stata scartata in sede di discussione parlamentare sulla Buona Scuola. Ma sicuramente infrange il tabù che vuole i docenti non valutabili per il modo con cui svolgono l’ordinario della propria professione.
Così, paradossalmente, chi oggi continua a battersi contro l’applicazione della 107 (Cgil in testa a tutti) finisce per chiamarsi fuori dalla discussione di merito sul bonus premiale che riguarda le forme applicative e i pericoli, anche gravi, che il cambiamento in corso comporta. Penso soprattutto a due rischi. Il primo è quello di realizzare, attraverso la premialità, una forma di appiattimento della professione docente, costruendo nel tempo un modello unico di docente bravo, mentre a scuola ci sono tanti modi di “essere bravi”, cioè efficaci, davanti alla pluralità dei bisogni formativi degli allievi.
Il secondo rischio è quello di confondere valutazione e premialità. La valutazione ha come sua ragion d’essere il miglioramento del servizio reso e si giustifica in sé, come fatto normale legato al vivere dentro un’organizzazione orientata a un fine. E’ normale (o dovrebbe esserlo) misurarsi con i limiti del proprio lavoro per poterli affrontare e, nel tempo, correggere.
Ciò vale per tutti, è connaturato all’essenza del lavorare e dovrebbe essere tanto più evidente nella scuola dove i docenti continuamente esprimono giudizi valutativi (si spera) per il bene dei loro allievi e per il loro miglioramento. Il fatto che una valutazione positiva sfoci nella premialità economica è accidentale, ci può essere come non essere, perché spesso la soddisfazione di ciò che Péguy chiamava il “lavoro ben fatto” prescinde da riconoscimenti estrinseci.
Oggi l’unica valutazione globale che sta partendo nella scuola è quella dei dirigenti; ma non è difficile prevedere che prima o poi si arriverà a quella generalizzata anche dei docenti e un giorno, forse (chissà!), persino a quella del personale non docente. E’ bene che non si banalizzi il piccolo passo in corso con la prima piccola premialità, per tutto quello che implicitamente comporta e anticipa.