L’Europa ritiene nevralgica la realizzazione di un sistema di valutazione dell’istruzione efficace ed efficiente per l’Italia. È quanto emerge dalla Relazione di monitoraggio della Commissione europea del settore dell’Istruzione e della Formazione 2016 condotta su 28 paesi tra cui, appunto, l’Italia. 



La creazione di un sistema di valutazione dell’istruzione è indicato come uno dei punti di forza del sistema italiano, come via di uscita per innalzare i notoriamente sotto-media livelli di performance degli studenti nelle competenze di base. A proposito dei sotto-media livelli, la relazione non manca di sottolineare le marcate differenze territoriali che proprio i sistemi di valutazione su vasta scala hanno contribuito, già dallo scorso decennio, a far emergere portando la discussione oltre il comune sentire: le aree del Sud mediamente più in difficoltà e alcune regioni del Nord allineate con i risultati dei paesi europei di eccellenza. 



I sistemi di valutazione internazionale e nazionale hanno evidenziato il divario medio tra Nord e Sud ma, quando si parla di livelli di performance sotto la media europea, bisognerebbe andare a guardare cosa accade anche all’interno delle macro-aree del paese: è stato proprio il Sistema di valutazione nazionale nell’ultimo rapporto sui dati Invalsi del luglio 2016 a far emergere una situazione più complessa di quello che vorrebbe un Sud semplicemente in difficoltà. 

Infatti, nel Sud,  accanto a situazioni di disagio si affianca l’eccellenza di alcune realtà scolastiche. È auspicabile, dunque, che il Sistema di valutazione nazionale continui in questo lavoro di ricerca al fine di evitare che le evidenze conducano a spiacevoli scontri tra aree territoriali sotto la bandiera nazionale che al momento solo il calcio sembra davvero unire. 



Tra i dati positivi messi in evidenza dalla relazione vi sono poi: il tasso di abbandono scolastico in costante diminuzione (pur attestandosi ancora al di sopra della media Ue). Si legge: “Per i bambini di età compresa tra i quattro e i sei anni si registra un’elevata partecipazione all’educazione della prima infanzia”, condizione che potrebbe aiutare in futuro il contenimento della dispersione scolastica. Inoltre sull’università: “Negli ultimi anni si è prestata un’attenzione maggiore alla qualità dell’istruzione superiore e il quadro per l’assegnazione dei finanziamenti pubblici alle università è nettamente migliorato”. 

Per contro, però, si sottolinea che le risorse finanziarie per il sistema terziario risultano ancora molto inadeguate e preoccupa il problema dell’invecchiamento del personale docente e del suo assottigliamento. A questo si collega il tasso, tra i più bassi dell’Ue, di giovani di età compresa tra i 30 e i 34 anni che conseguono un titolo di istruzione terziaria: il dato è in crescita e si passa per i nati in Italia dal 24,1 del 2012 al 28,1 del 2015 contro, però, una media europea anch’essa in aumento che passa dal 36,7% del 2012 al 39,4% del 2015. 

Molti e complessi i problemi su questa questione. Uno su tutti: non ha senso innalzare il tasso di diplomi terziari in un mercato del lavoro che non è pronto ad accogliere i laureati perché tra le varie ragioni, come spesso ha sottolineato anche Confindustria, c’è un mismatch tra competenze dei laureati e competenze richieste dal mercato del lavoro e, ancora prima, il nostro sistema in sé spesso non richiede competenze specialistiche. E a questo si ricollega proprio un ultimo punto all’attenzione della Commissione Europea: “L’ingresso nel mondo del lavoro è difficile, anche per le persone altamente qualificate, e dà luogo al fenomeno della ‘fuga dei cervelli'”. La possibilità di fare delle esperienze all’estero non è di per sé una cosa negativa, non è anzi forse nel nostro Dna di popolo di navigatori questa mobilità? Al di là degli scherzi, il problema vero è che quando si esce dai confini nazionali di frequente non è una scelta ma è l’unica possibilità rispetto al non trovare alcun lavoro adatto alle proprie qualifiche e, in secondo luogo, vi è poi la difficoltà o l’impossibilità di tornare una volta che si è deciso di spostarsi.

Una relazione, dunque, nel complesso positiva per il nostro paese ma che ancora di più chiede alla ricerca sull’istruzione di trovare soluzioni mirate a problemi complessi e dalle molte facce.