La partita che si sta giocando intorno alle lingue classiche — qui il tema viene affrontato in relazione al latino — e al loro apprendimento, ha visto scendere in campo più giocatori, alcuni inediti rispetto alle regole tradizionali del gioco, dove  si gioca  di solito a tre, i docenti, gli studenti e l’istituzione scolastica centrale, il Miur.



I docenti sono sul campo per definizione, ma questo si è assottigliato sempre più con l’introduzione  di corsi liceali senza l’insegnamento del latino nel curricolo (liceo delle scienze applicate e il liceo economico-sociale) o con la sua riduzione a un moncone, come nel liceo linguistico dove è presente solo nel biennio iniziale.



Così i docenti, mentre sono impegnati sul fronte dell’insegnamento e della motivazione, corrono il rischio di veder letteralmente mancare loro il terreno sotto i piedi, perché lo studente esercita da subito una facoltà di scelta che scarta l’apprendimento del latino. Dal momento che le regole del gioco sono state dettate dalla riforma Gelmini, al docente non resta che giocare di rimessa.

Ma poiché gli effetti — il progressivo, inesorabile, assottigliamento delle schiere di studenti che studiano il latino — sono sotto gli occhi della pubblica opinione, si è creato un comune sentire a difesa dell’insegnamento di latino che trova espressione soprattutto nei mass-media, con interventi di latinisti e non, di personalità del mondo accademico ma non solo, e  prende le forme più svariate: l’appello, la sottoscrizione, eccetera.



Questo coinvolgimento diffuso e variegato da parte anche di chi non entra direttamente in gioco nel mondo della scuola, ha il merito di far emergere l’urgenza e la drammaticità della questione della perdita di un sapere, ma è un’azione priva di una sostanziale efficacia, perché adesso la scelta avviene altrove. Prima. Ogni anno. Al momento dell’iscrizione. Ma anche dopo, nel prosieguo, quando si esprime nella disaffezione allo studio del latino.

In alcuni indirizzi — il linguistico — il latino verrà comunque abbandonato dopo il primo biennio. Negli altri — scienze umane, scientifico — dovrà fare i conti con la percezione diffusa di una sua marginalità in relazione alla sua diminuita presenza oraria. Resta il classico, ma ormai è un liceo di nicchia, specie in alcune aree geografiche del nostro paese.

Per inciso, la situazione attuale dovrebbe di converso farci riflettere su quanto, nei tempi passati, lo studio del latino sia stato affidato a supporti costrittivi /punitivi — l’obbligatorietà del curricolo, la selettività del percorso liceale.

La sfida dell’insegnamento, mai facile, mai scontata, ci dice che, se vogliamo essere efficaci nel riabilitare l’apprendimento del latino, con le attuali regole del gioco dobbiamo rimettere la palla in mano all’unico attore a cui davvero è affidata la partita, lo studente, dobbiamo far aggio sulla sua soddisfazione per i risultati ottenuti e riconosciuti, e sulle famiglie, che ne sostengono le scelte.  

Attualmente, le certificazioni effettuate da enti esterni consentono ai linguaggi posseduti (lingue moderne, informatica) di essere concretamente e pubblicamente riconosciuti e “spesi” sul mercato dei saperi. Gli studenti sono motivati a conseguirle anche perché vengono loro richieste, nel curriculum universitario in primis. Le certificazioni circolano, come ogni moneta di buon corso, e circolano anche sul mercato europeo.

In parallelo con quanto sta succedendo in altre regioni, in Veneto una rete di tre licei (Trissino di Valdagno, Brocchi di Bassano del Grappa, Educandato agli Angeli di Verona) coordinata dal dirigente tecnico dell’Usr, dott.ssa Celada, ha messo a punto in via sperimentale una certificazione di lingua latina, denominata Probat, che fa propria l’esigenza della certificazione delle competenze ricettive nella didattica e nell’apprendimento della lingua latina, utilizzando una metodica già ampiamente diffusa a livello delle lingue moderne. La validazione scientifica della certificazione è affidata alla Consulta Universitaria degli Studi Latini.

Poiché Probat è un dispositivo omologo alle certificazioni linguistiche ed è facilmente leggibile nella sua struttura (suddivisione per livelli — A1 A2 e B1 B2 —, coerenza della prova in relazione all’impianto complessivo del processo valutativo, fondato sulla centralità del testo e della sua comprensione), consente all’apprendimento del latino di interfacciarsi e dialogare con gli altri dispositivi delle certificazioni linguistiche moderne. 

L’apporto di una disciplina classica e umanistica alla costruzione delle competenze “atte a comprendere” diventa più chiaro anche agli studenti e alle famiglie, perché assume una facies a loro più familiare. 

D’altro canto la certificazione Probat è costruita tenendo conto dell’effettività discontinuità dei sistemi linguistici (lingue moderne-lingue classiche) a partire dalla realtà delle letterature classiche come corpus concluso, dall’univocità della documentazione disponibile, esclusivamente letteraria e scritta, dal ruolo della contestualizzazione, segnata da un cambiamento di civiltà. 

A favore di un primo bilancio di Probat parlano i numeri del suo lancio nel 2016: la partecipazione alla prova sincrona del 21 aprile 2016 è stata di 1.404 studenti, con 13 istituti iscritti e tutti i corsi rappresentati. La percentuale di successo, considerando congiuntamente i livelli A e B, è stata mediamente del 75%. Ad essere richiesto è stato soprattutto il livello A. Gli studenti hanno trovato la prova innovativa, impegnativa ma gradevole.

L’ampia presenza dei docenti universitari e dei licei alla Giornata di Studio tenutasi a Padova il 17 novembre 2016 fa presagire un rapido incremento delle iscrizioni per il 2017.

Anche in Veneto si è cercato così di gettare le premesse per un’inversione di tendenza, perché il latino, da materia “repulsiva” diventi un sapere “attrattivo”, verso cui lo studente si mobilita, chiedendo di accedere alla certificazione, attivando le sue risorse personali nel processo di apprendimento.

Ma due elementi sono centrali a mio parere perché la certificazione di latino decolli.

Il primo è che sia possibile certificare in termini di competenza testuale in lingua latina a partire dal curricolo del corso con il più basso monte ore di insegnamento del latino, il biennio del liceo linguistico. E’ necessario quindi che la certificazione sappia misurare, “apprezzare”, un gradino iniziale di apprendimento.

Il secondo è che la certificazione sia riconosciuta anche in termini di spendibilità, sia cioè traducibile in crediti proporzionalmente ai livelli raggiunti, sui “mercati” dei saperi.

E’ infatti indispensabile che lo studente che affronta il latino per un solo biennio possa veder riconosciuta questa sua fatica: il livello non deve costituire una discriminante, ma un’opportunità di dimostrazione dell’ acquisizione di un  sapere che, come tutti i saperi, si possiede per gradi (e mai completamente…). 

In altre parole, non occorre essere latinisti per conseguire la certificazione. 

Credo che Probat, con la costruzione del livello A1, sia riuscita in questo intento, al quale comunque ci chiama, in quanto docenti, l’accertamento delle competenze di base caratterizzanti l’asse dei linguaggi previsto al termine dell’obbligo d’istruzione secondo il D.M. 139/2007. 

Per quanto concerne la spendibilità della certificazione, rientrano in gioco quegli attori cui facevo riferimento in apertura del mio intervento.

Il riconoscimento può infatti avvenire a più livelli: come credito formativo all’interno della singola istituzione scolastica, come esonero dall’esame scritto di latino nelle università dove è previsto il test d’ingresso, come credito universitario spendibile ben oltre i corsi di discipline classiche o linguistiche, ed infine nel mondo del lavoro, se la certificazione di latino è riconosciuta all’interno del curriculum personale. Ecco dove i giocatori estranei alla scuola, scesi in campo per difendere la presenza del latino con i loro interventi pubblici,  possono adesso diventare efficaci. La partita per il latino non è chiusa, anzi, richiama energie e forze rinnovate a più livelli.