Caro direttore,
l’esito inequivocabile del referendum costituzionale dovrebbe segnare un punto importante di svolta anche per la scuola.
In questo auspicio non mi riferisco tanto ai significati trasversali del voto e cioè al dato, abbastanza netto pure questo, che esso ha riguardato, oltre che la Costituzione, la bocciatura sostanziale delle politiche del governo Renzi. Che il voto abbia travolto il Jobs Act come la Buona Scuola, le politiche sull’immigrazione come i provvedimenti relativi alle crisi bancarie è cosa evidente non solo agli analisti. Se si è fatta, prima del 4 dicembre, un’azione non dico di propaganda attiva ma anche solo di ascolto della realtà circostante, dagli amici ai viaggiatori della metropolitana, dal negoziante alle persone in attesa dal dentista, non dovrebbe essere difficile convenire su quanto ho scritto sopra.
Per il mondo della scuola l’ascolto dovrebbe essere stato decisamente più agevole e trovo perciò disperato lo sforzo di Gianni Zen di salvare i provvedimenti contenuti nella legge 107/2015 e la sua autrice. Del resto, su questo, perfino Renzi aveva sconsolatamente ammesso di essere riuscito in un’impresa titanica, quella cioè di avere scontentato tutti, compresi gli eventuali beneficiari di misure (l’immissione in ruolo ed il cosiddetto potenziamento) confuse e perfino improduttive.
E’ sotto gli occhi di tutti l’avvio caotico di quest’anno scolastico, è sotto gli occhi di tutti il colossale spreco di risorse innanzi tutto umane implicito in un potenziamento che non potenzia un bel nulla nemmeno al secondo anno di applicazione. E’ sotto gli occhi di tutti che l’alternanza scuola-lavoro sta producendo sicuramente un notevole sforzo di fantasia applicativa e solo cose abbastanza risibili e ridicole come la coltivazione delle angurie o come quella degli allievi delle scuole che accompagnano i visitatori della “Tour Eiffel” natalizia in tubi Innocenti di Napoli chiamata Nalbero.
E mi fermo qui per riprendere, invece, un discorso sulla specificità di un referendum che avrebbe dovuto riguardare prevalentemente un giudizio sulla revisione costituzionale. Lo schieramento del Sì, nel disperato tentativo di spostare il focus dalla personalizzazione, ha tanto ossessivamente quanto ipocritamente ripetuto la necessità che la discussione fosse nel merito del provvedimento.
L’ipocrisia di questo invito a chi ha studiato diritto risultava e risulta assai evidente. Per discutere sul merito bisogna conoscerlo e non è che l’invito fideistico ed ipocrita poteva far dimenticare un dato segnalato nelle rare ricerche (ne ricordo un paio, del Cidi e della Regione Piemonte sotto la presidenza Bresso) sul tema.
Qual è questo dato? Quello di una scarsa se non inesistente conoscenza non solo della Costituzione, ma anche di quelle nozioni minime che pomposamente spesso chiamiamo “competenze di cittadinanza”. Se persino i parlamentari, come impietosamente ci dimostrano filmati e servizi televisivi anche recenti, ignorano l’abc costituzionale, su cosa si fondava l’auspicio che il corpo elettorale discutesse sul merito? E questa famosa conoscenza nel merito dove si sarebbe dovuto acquisire se non a scuola?
Quando la politica spesso criticata magari a torto della prima repubblica si pose il problema dell’analfabetismo (erano i primi anni Sessanta ed io ero un bimbetto che guardava la tv in bianco e nero) persino il brontosauro Rai produsse l’Alberto Manzi delle trasmissioni televisive di “Non è mai troppo tardi”. Buona scuola allo stato puro quella del maestro Manzi, per chi se lo ricorda come me. Ebbene, oggi servirebbe una buona scuola per combattere l’analfabetismo costituzionale. Quella della Giannini, di Renzi, di Faraone il problema non se l’è posta proprio e col senno di poi si potrebbe anche concordare sul perché non si siano posti il tema del rientro dello studio del diritto e della Costituzione nelle scuole superiori.
La tesi (magari indimostrata ma di cui personalmente sono fortemente convinto) è che, se ci fosse stata una conoscenza minima della Costituzione da parte del corpo elettorale, lo schieramento del No avrebbe raggiunto percentuali ancora più elevate.
Mi è capitato, nel periodo precedente il voto del 4 dicembre, di essere avvicinato a scuola da numerosi studenti degli indirizzi (linguistico e scientifico presenti nel mio istituto) dove il diritto non è presente fra le materie curricolari. Mi chiedevano spiegazioni, ponevano domande e qualche volta anche “consigli” sul voto. Sono stato assai disponibile sulle prime, fornendo materiale giornalistico con le due posizioni, ho partecipato ad una loro assemblea di istituto sul tema ma sono stato del tutto impermeabile sui secondi.
Il fatto era decisamente inedito in vent’anni di permanenza in questo istituto e mi ha indotto, poi, a scrivere un articolo non pubblicizzato a scuola, destinato ai miei ex allievi in cui rivolgevo un esplicito invito motivato a votare No.
Perché lo scrivo adesso, a risultato acquisito? Perché credo sia arrivato il momento di essere conseguenti. Se si vuole la discussione nel merito non solo sulla Costituzione ma anche sullo jus soli o sui salvataggi bancari non si può immaginare di continuare a non far studiare nelle scuole superiori il diritto e l’economia.
Se non si vuole che il prossimo referendum, sia esso abrogativo o costituzionale, sia svolto in termini di pura propaganda ma di partecipazione consapevole dei cittadini, non si può non ripensare di rivedere le scelte a suo tempo fatte dalla Gelmini e mantenute in assoluta costanza di determinazione da Carrozza come da Profumo fino alla penultima occupante di Viale Trastevere.
All’ultima in ordine di tempo, il ministro con un cognome beneaugurante, Fedeli, non posso che rivolgere un invito pressante. Quello di essere Fedeli alla Costituzione. Facendone ritornare lo studio nelle scuole riportando il diritto nel core curriculum. Fedeli ha trascorso la sua vita nel sindacato e lo rimarco non tanto per sottolineare un dato piuttosto comune per gli occupanti di Viale Trastevere. Imprenditrici, avvocati, medici si sono occupati nel recente passato di scuola.
Appartengo alla scuola di pensiero che chi amministra dovrebbe necessariamente conoscere il settore di cui si occupa e da questo punto di vista non è confortante avere una ex sindacalista dei tessili che si occupa di scuola.C’è, però, un dato positivo in questa provenienza: Fedeli conosce i lavoratori ed il mondo del lavoro. Non può ignorare il peso che hanno avuto provvedimenti come le 150 ore. Non può ignorare che per difendere i propri diritti bisogna innanzi tutto conoscerli. Non può ignorare che conoscere la Costituzione dovrebbe essere il minimo sindacale di cittadini e lavoratori consapevoli.
Mi aspetto dal ministro Fedeli, perciò, un provvedimento tanto semplice quanto decisamente rigettato da chi l’ha preceduta al Miur: riporti lo studio del diritto e della Costituzione nelle scuole.
Senza le barzellette di “Cittadinanza e Costituzione” e non dimenticando lo slogan che lei e gli altri esponenti dello schieramento sconfitto del Sì ci hanno ripetuto come un mantra: “discutere nel merito”. Appunto, ma nel merito ci si entra solo conoscendo.
E se posso chiudere questo “Fedeli alla Costituzione” con una battuta: caro ministro, lo prenda rapidamente questo provvedimento e magari la laurea che non ha conseguito glie la daranno honoris causa. Una causa giusta, quella della Costituzione.