Istruire, compito principale della scuola, deriva dal latino instruere “apparecchiare, equipaggiare”, composto da in “dentro” + struere “costruire”. “Costruire dentro”, “costruire nella” persona. Ma costruire che cosa, come e perché? Un aiuto per rispondere a tali domande — fondamentali per chi opera nel mondo della scuola, ma anche per tutti gli adulti della società interessati all’educazione dei giovani — è il volume, di recente uscita, Far crescere la persona. La scuola di fronte al mondo che cambia, a cura di G. Vittadini, Fondazione per la Sussidiarietà 2016.



Il testo è suddiviso in due parti: la prima composta da saggi che affrontano da diversi punti di vista — culturale, sociale, economico, statistico — il tema dello sviluppo del capitale umano e del compito dell’educazione nella società attuale; la seconda da una serie di testimonianze che propongono esempi in atto di scuola buona. La sua unità risiede in una scoperta: “Il concetto di capitale umano si è progressivamente arricchito incorporando altre dimensioni della vita del singolo e dei gruppi sociali, meno legate a un’idea di conoscenza intesa in senso nozionistico. È quanto avvenuto con la scoperta dei non cognitive skills come fattore decisivo della qualità del capitale umano” (Vittadini-Folloni, p. 62). Quanto influiscano nella riuscita scolastica i tratti del carattere, la stabilità affettiva, il dominio delle emozioni, le capacità relazionali, il senso di responsabilità è esperienzialmente evidente a chi opera nella scuola… ma la novità del volume consiste nella dimostrazione della misurabilità di tale incidenza e dalla presentazione dei risultati di indagini statistiche che mostrano quanto, a parità di cognitive skills, le persone dotate di qualità personali quali “energia, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva apertura mentale” (i big five, p. 85) abbiano migliori performance in campo scolastico e lavorativo, godano di migliori condizioni di salute e abbiano meno probabilità di coinvolgimento in attività illegali. 



Il secondo aspetto di novità del volume risiede nell’affermazione che tali aspetti del carattere non siano caratteristiche esclusivamente innate, bensì siano tratti della persona educabili innanzitutto in famiglia e poi nella scuola: “Ciò che invece non è stato ancora esplicitato è che il capitale umano stesso è ‘producibile’ e quindi accumulabile. Esso non può essere, infatti, associato semplicemente alla somma delle abilità innate dei singoli individui, quanto piuttosto a un loro sviluppo, la cui sede principale o privilegiata è quella dei sistemi di istruzione” (Agasisti-Sibiano, p. 79). Vale a dire: l’intelligenza e il carattere possono migliorare e favorirne lo sviluppo è il compito principale della scuola, in un mondo che cambia così vorticosamente da non lasciar neanche presagire quali saranno le sfide a cui andranno incontro i nostri giovani.



Una sfida che la scuola deve cogliere e che, a giudicare dalle testimonianze della seconda parte del volume, può cogliere. Ad alcune condizioni, però. 

Innanzitutto occorre che i docenti siano disponibili a considerare i non cognitive skills come coessenziali, non a lato o addirittura slegati e contrapposti, ai cognitive skills. Non costruisce personalità mature né l’enciclopedismo o il nozionismo, né il tentativo di formare il carattere di un giovane a prescindere dal pieno coinvolgimento della sua ragione e della conoscenza leale e aperta della realtà, fino a porsi domande radicali sul suo significato, come ben argomentato nel saggio di O. Grassi, Un nuovo bivio per l’educazione (pp. 17 ss.). 

Il problema del senso si può dire infatti che costituisca il punto di sintesi tra non cognitive cognitive skills. Un esempio di come si possano combinare tali competenze mi è stato recentemente offerto da studenti di terza media della mia scuola, che, guidati dal loro docente di lettere, hanno voluto mettere in scena una drammatizzazione per comunicare quanto compreso intorno al problema dei migranti, argomento delle lezioni di geografia e italiano. Ne è scaturita una pregevole rappresentazione in cui gli studenti hanno utilizzato per scrivere il copione testi letterari descrittivi delle avventure di uomini in mare da loro letti l’anno scorso, testimonianze di migranti che hanno attraversato il Mediterraneo su barconi, discorsi del Papa e di altre persone autorevoli, per aiutarsi, attraverso le parole altrui, a immedesimarsi nei pensieri, nei sentimenti, nei ricordi e nelle speranze di uomini che oggi si trovano a dover affrontare viaggi disumani in fuga dai loro paesi. Il linguaggio teatrale ha favorito che negli studenti accadesse un fatto irrinunciabile per conoscere e per crescere in personalità: l’immedesimazione. Se non fossero stati stimolati dai loro docenti a porsi degli interrogativi e a formarsi dei giudizi più veri e profondi di quelli che girano sui social a proposito dei migranti e del fenomeno dell’immigrazione, non si sarebbero riappropriati delle parole d’autore, non sarebbero stati motivati ad approfondire le loro conoscenze storiche e geografiche, non avrebbero avuto l’occasione di sviluppare nell’allestimento scenico con altrettanta serietà ed efficacia le loro capacità di cooperazione, espressività, controllo di sé, impegno, ecc. La verifica di quanto fosse cresciuto il loro character in tale esperienza è stata che hanno voluto rappresentarla nuovamente quando è venuto in visita alla nostra scuola un gruppo di studenti dei paesi terremotati, per testimoniare loro un tentativo di compartecipazione alla loro sofferenza. È il paragone con l’altro che apre mente e cuore: “l’intelligenza si sviluppa ‘nel paragone reciproco degli oggetti della conoscenza. Noi sentiamo di spaziare liberamente quando non ci limitiamo ad apprendere qualcosa, ma quando lo riferiamo a ciò che sapevamo prima. L’arricchimento — osserva ancora Newman — non consiste in una mera aggiunta alla nostra conoscenza, ma nel mutamento di luogo, nel movimento in avanti di quel centro morale attorno al quale gravita ciò che sappiamo e ciò che abbiamo acquisito, l’intera massa della nostra conoscenza’. In queste espressioni si trova chiaramente delineata una visione del sapere che non procede per accumulo, ma per successive sintesi, una concezione dinamica e viva della ragione e del suo esercizio, e una piena valorizzazione della soggettività dello scolaro e dello studente” (Grassi, pp. 28, 29).

Se la ricerca del senso e il paragone con l’altro sono la prima condizione per fondare un’educazione che non sia appena addestramento, ma che punti alla formazione del carattere e del giudizio, vi sono anche altri fattori di una “scuola buona” quali la flessibilità nella didattica e la condivisione tra docenti dei loro studi e delle loro esperienze lavorative, alla ricerca di strade sempre più efficaci per ampliare l’intelligenza dei loro studenti, non considerandola una dote innata ma una capacità in fieri; la partecipazione di altri soggetti adulti nell’avventura educativa, a partire dalle famiglie fino al coinvolgimento di chi ha responsabilità formative nel mondo accademico e lavorativo (in tal senso il volume in oggetto costituisce un precedente preziosissimo). 

Da ultimo andrebbe seriamente considerata un’ultima condizione: quale spazio di autonomia e flessibilità lo Stato è disposto a lasciare alle scuole? È infatti solo all’interno di una comunità testimone di una convincente proposta di vita che si può crescere in cultura, responsabilità, giudizio e di conseguenza educare persone libere, ragionevoli e costruttive.