Abbiamo intervistato Martino Frizziero, preside del Liceo paritario Romano Bruni di Padova, un’eccellenza del sistema di istruzione italiano: “Una scuola che può aiutare i ragazzi a capire che la realtà è positiva e ci si può entrare senza paura, con curiosità e certezza che ci sia un bene per sé”. 



Dal punto di vista della qualità, com’è la situazione generale delle scuole superiori nel territorio padovano?

Bisogna chiedersi che cosa sia la qualità di una scuola e in cosa sia visibile. Credo che sia molto difficile misurare la qualità di una scuola, dato che è fatta dalle persone. Posso dire, però, che qualora il personale scolastico (docenti e figure dirigenti) cambi spesso, si può rischiare che anche la scuola cambi impostazione o identità, se non c’è una progettualità di lungo termine o un’identità della scuola chiara alla quale anche il docente “nuovo” deve contribuire. Di certo nel padovano, come dovunque, vi sono diverse scuole che mantengono un’identità chiara, cioè uno stile didattico proprio, una progettualità di un certo livello e che per questo rimangono di qualità.



A suo giudizio Eduscopio può dare indicazioni veritiere alle famiglie che cercano la scuola migliore per i propri figli?

Anche su questo punto il problema è capire cosa significa “scuola migliore”. Scuola migliore significa, secondo me, la scuola che meglio può contribuire al tipo di formazione del ragazzo che la famiglia desidera. Cioè la scuola che risponde meglio alle aspettative delle famiglie. Infatti le famiglie prima di cercare la scuola hanno bisogno di chiarirsi su cosa sia ciò che desiderano per il proprio figlio. Questo è anche il motivo per cui l’orientamento alla scuola superiore è sempre un momento intenso per la famiglia, a volte anche drammatico.



Eduscopio come può aiutare da questo punto di vista?

Eduscopio può dare delle indicazioni interessanti qualora le famiglie cerchino una scuola che prepari il ragazzo ad affrontare il mondo del lavoro o dell’università. Bisogna però non dimenticare altri metodi basati sul rapporto diretto con docenti e scuole. Occorre poi correggere alcuni aspetti: potrebbe succedere che dopo il liceo scientifico un ragazzo debba lavorare per continuare l’impresa di famiglia — cosa che nel Veneto è una realtà diffusa. Oggi questo salto è registrato da Eduscopio come un “abbandono degli studi”. Infine non ci si deve dimenticare che il percorso post-diploma dei ragazzi dipende dalle capacità e responsabilità degli stessi ragazzi, e non solo dalla qualità della scuola che li ha “formati”.

Veniamo alla vostra scuola: il risultato del liceo Bruni è davvero lusinghiero; è stata una sorpresa per voi? Anno scorso come era andata? 

Nei tre anni in cui la Fondazione Agnelli ha svolto quest’indagine statistica, i risultati sono sempre migliorati, fino a collocarci come il secondo liceo della città e il primo paritario di tutto il Nordest. La sorpresa indubbiamente c’è stata, perché a scuola non abbiamo un monitoraggio sul percorso universitario svolto dai nostri ex alunni così completo come lo fornisce Eduscopio e perciò sapere che i nostri ex alunni stanno facendo bene là dove sono è stata, in parte, una sorpresa.  

 

Ma cosa rende il vostro liceo così competitivo?

Penso sia la cura del singolo ragazzo che cerchiamo di avere come corpo docente. Il lavoro di équipe unito alla passione di ciascun professore per la sua materia. L’impostazione metodologica del lavoro didattico e il fatto di provocare i ragazzi ad avere uno sguardo curioso e critico su qualsiasi cosa.

 

Come avviene questo?

Sostanzialmente è il metodo che noi chiamiamo della “lezione dialogata”: consiste nell’affrontare gli argomenti delle materie impostandoli come problematiche cui le singole discipline, con le proprie metodologie, hanno storicamente risposto: il professore propone un testo, una versione, un problema, dei dati, un esperimento il cui senso o la cui soluzione devono essere scoperti. Non è un trasferimento di nozioni da chi sa di più a chi sa di meno. La lezione diventa una scoperta cui ogni ragazzo può partecipare mettendo in moto la curiosità e imparando ad usare la capacità critica che gli è propria.

 

E poi?

Il percorso formativo proposto nella nostra scuola, inoltre, si basa sull’inclusione, sulla ricerca di tutte le strade possibili per cui il ragazzo possa dare il suo massimo. E il massimo di un ragazzo può essere diverso da quello di un altro.

 

Può fare un esempio?

Un papà, che ha mandato a scuola da noi due figli molto diversi l’uno dall’altro, ci diceva di essere rimasto molto stupito dal fatto che all’uno, che aveva voti sull’8, i docenti chiedessero il 9, e all’altro, che aveva voti anche insufficienti, i docenti continuassero a spronarlo perché raggiungesse la sufficienza. Questo esempio mi permette di introdurre anche un altro elemento indispensabile, che è il dialogo continuo con le famiglie, perché dà al percorso scolastico del ragazzo un contributo educativo fondamentale.

 

Insomma, un metodo che certamente non tiene conto solo del lavoro o dell’università, ma che comunque ha avuto ottimi riscontri proprio con Eduscopio.

Eh sì. Per tornare ai dati Eduscopio il punto interessante è che, dopo aver fatto il nostro liceo, i ragazzi hanno giocato il metodo insegnato loro nel percorso liceale, non si sono scoraggiati di fronte alle difficoltà e hanno scelto la facoltà che corrispondeva di più alla loro persona. Per questo sono andati bene, non perché erano un’élite, dei robot o dei geni. Magari qualcuno sì, eh!

 

Quali sono gli aspetti su cui potete ancora migliorare?

Dobbiamo approfondire gli elementi che ho elencato ora, perché non sono mai scontati e vanno continuamente rinnovati, ricompresi e effettivamente esercitati. Per la scuola dove lavoro ho due desideri, due temi su cui lavorare. Il primo: che si apra di più al territorio (mondo delle imprese, mondo dell’università, mondo del sociale, eccetera) per cercare e sfruttare la ricchezza delle proprie radici e del proprio contesto particolare.

 

Questo cosa comporterebbe?

Ritengo che in questo modo la realtà scolastica possa ricevere tanti suggerimenti e input interessanti e, contemporaneamente, diventare un significativo centro di cultura e di relazioni. Aprirsi è sicuramente una possibilità di arricchimento reciproco per scuola e territorio.

 

E il secondo?

Il secondo è rinforzare l’internazionalità (scambi culturali, periodi di studio all’estero), perché vediamo come i ragazzi cambiano quando, in quarta, svolgono 15 giorni di studio in Irlanda e iniziano a rendersi conto di cosa sia il mondo globalizzato, di cosa serva per interagire con esso e di quale contributo la nostra cultura può dare.

 

Cosa cercano le famiglie e i ragazzi che scelgono le vostre scuole?

Credo che chi ci cerca, cerchi il bene per i loro figli. A volte può apparire sotto forma di altre parole come “preparazione”, “luogo dove stare bene”, “passione”, “docenti che si coinvolgono e che suscitano interesse”, “protezione”, “attenzione umana” eccetera. Penso infatti che, dovendo sostenere una spesa economica, vogliano davvero che i loro figli siano guardati per quello che sono e provocati ad un percorso di sviluppo personale educativo oltre che didattico.  

 

 E cosa trovano?

Con una battuta direi che trovano anche qualcosa in più. Trovano cioè una scuola che prepara bene i loro figli sotto il profilo scolastico, oltre che umano, che non ha paura di far notare gli errori o i limiti per poterli superare. Trovano una scuola che può aiutare i loro figli a capire che la realtà è positiva e ci si può entrare senza paura, con curiosità e certezza che ci sia un bene per sé. Trovano una scuola dove, assieme ai docenti, anche gli stessi genitori sono chiamati ad un percorso di formazione personale, dal momento che i loro figli crescono e cambiano (entrano ragazzini ed escono uomini) e noi adulti dobbiamo crescere con loro.

 

In che senso “crescere con loro”?

Per “crescere con loro” intendo il fatto che di fronte ad un ragazzo che diventa uomo, anche io, adulto, devo continuamente approfondire di più chi sono, cosa mi tiene in piedi e mi fa andare avanti nel lavoro e nella vita e devo continuamente approfondire e rendere “più fondamentali” le proposte che facciamo ai ragazzi (figli o alunni che siano). Se questo succede, credo sia davvero il successo della scuola.