Viviamo in tempo di grandi trasformazioni e grandi incertezze. Molti punti fermi — per la costruzione del proprio percorso di vita e professionale — che hanno caratterizzato le vite dei nonni e dei genitori degli attuali under 30 non valgono più. C’è un nuovo modello sociale, di sviluppo, di partecipazione da costruire, più in sintonia con i nuovi tempi e con le sensibilità delle nuove generazioni, che stenta però ad emergere e ad affermarsi. I giovani vivono quindi oggi una fase di forte spaesamento, con carenza di strumenti concettuali e di policy che aiutino a trovare il proprio ruolo da protagonisti nel mondo e nella costruzione di un futuro desiderato. La propensione ad agire, a mettersi in gioco, nonostante oggettive difficoltà, la capacità di far rete, la voglia di protagonismo, sono un capitale sociale specifico delle nuove generazioni che non va frustrato e sprecato.
Un approfondimento internazionale del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo, condotto a luglio 2016, mostra come, rispetto ai coetanei del resto d’Europa, gli under 30 italiani siano meno partecipativi sia nella società che nel mercato del lavoro. Lo dimostrano due indicatori più di altri: più alta è la percentuale di Neet (i giovani fuori dal percorso formativo ma non ancora inclusi nel sistema produttivo) e meno frequente l’esperienza di volontariato nei confronti dei paesi presi in considerazione dalla ricerca (Spagna, Francia, Germania, Regno Unito e Polonia).
Se la partecipazione effettiva è bassa, più alta risulta però in Italia la domanda potenziale. Alla domanda, infatti, “Quanto è importante per te svolgere attività di volontariato” la percentuale di risposte positive più alte la si trova proprio tra i giovani nel nostro paese. Risultati analoghi si ottengono sul promuovere il bene della propria comunità: il valore più elevato è quello dell’Italia (oltre 83%), di nuovo seguita dalla Spagna (circa 81%), mentre si scende sotto il 70% in Gran Bretagna, Francia e Germania.
I giovani italiani staccano gli altri paesi anche sul desiderio e l’importanza di essere informati su ciò che accade. Sensibilmente più elevata risulta, infine anche l’importanza del voto rispetto ai coetanei degli altri paesi: assegnano un punteggio uguale o superiore a sei (in una scala da 1 a 10) all’importanza di recarsi alle urne l’80% degli intervistati in Italia contro il 70% circa dei coetanei degli altri stati considerati. Questo significa che potenzialmente la partecipazione al voto può arrivare a 8 giovani su 10, ma molto dipende dall’offerta politica, come vale anche per la capacità di coinvolgimento in attività sociali.
L’Italia, più di altri paesi con cui ci confrontiamo, ha quindi giovani che vorrebbero informarsi, scegliere, operare come cittadini, mettersi fattivamente alla prova nel volontariato e nel mondo del lavoro. Ma meno riesce oggi a farlo con successo. Dare per scontato che i giovani siano superficiali e individualisti, come finora troppo spesso si è fatto, è un grande errore che compromette la piena attivazione delle nuove generazioni. E’ vero però che le modalità tradizionali di coinvolgimento e ingaggio non funzionano più e andrebbero ripensate assieme ai giovani stessi.