Il 6 dicembre 2016 sono stati presentati i dati dell’indagine Pisa 2015 a cui hanno partecipato 540mila studenti di tutto il mondo. L’indagine consiste in un test di due ore, svolto al computer, su lettura (comprensione del testo), matematica e scienze più un questionario studente per raccogliere informazioni sugli stessi studenti, sulle loro esperienze e aspettative.
In Italia hanno partecipato 11.583 studenti di oltre 450 scuole. Il focus di questa indagine è stato sulle scienze, nel 2012 fu sulla matematica e per il 2018 tornerà ad esserlo sulla competenza in lettura; ed è proprio sulle scienze che l’Italia ha avuto la peggiore performance dal 2006, con 481 punti (media Ocse 493), invertendo la tendenza al miglioramento e posizionandosi, ma questa non è una novità, al di sotto della media Ocse e della maggior parte dei paesi europei, mentre un certo miglioramento, rispetto al passato, si è avuto in matematica con un punteggio esattamente in linea con la media Ocse, 490 punti.
Stabile invece la lettura rispetto alle precedenti indagini con 485 punti (media Ocse 493). Ci confermiamo deboli nelle eccellenze (livelli 5 e 6 della scala) dove in scienze abbiamo solo un 4% di studenti in confronto della media Ocse dell’8%, mentre siamo in linea con la media Ocse per gli studenti più deboli (livello 2 e inferiori) con un 23%.
Tra i numerosissimi dati presenti nell’indagine ci soffermiamo brevemente su alcune informazione tratte dai questionari studente.
Emerge ancora come i nostri studenti a fronte di un nutrito numero di ora passate a scuola, in media 30 per settimana, e a un numero consistente di ore passate a studiare, quasi 20 per settimana, abbiano uno dei più bassi rapporti tra punteggio ottenuto e numero di ore di studio. Paesi che studiano di più o di meno hanno rendimenti migliori, qualsiasi sia la cultura di appartenenza; si va dalla solita Finlandia alle note tigri asiatiche, dove si studia molto ma si rende anche molto, a praticamente tutti i paesi occidentali.
Probabilmente in Italia un problema di metodo inerente lo studio delle scienze sperimentali esiste. Sicuramente l’approccio allo studio tipicamente umanistico, incardinato sulla lettura del testo, applicato allo studio delle scienze mostra qui le sue lacune. Bisogna cominciare a far riflettere i ragazzi su cosa significhi esattamente studiare scienze, anche solo dal libro, che non dovrebbe essere usato come strumento didattico allo stesso modo del libro di storia o di letteratura italiana.
Questa ridefinizione dell’idea dello studio delle scienze passa però da una ridefinizione di questa idea da parte degli insegnanti e da una modifica del curricolo come dispositivo per l’insegnamento. Soprattutto in un periodo di futuro ricambio generazionale tra i docenti, i dati Pisa ci ricordano che in Italia nel 2015 solo il 30% degli studenti frequentava scuole in cui “insegnanti-mentori” accompagnavano i nuovi docenti. Un buon modo per lasciare immutate pratiche di insegnamento che si trasmettono per imitazione e tradizione senza alcun indizio di reale efficacia. Troppo spesso nelle scienze la verifica dell’apprendimento comporta un mero esercizio di memorizzazione e un continuo ed esclusivo accumulo di conoscenze. Restano così spesso fuori dalla valutazione competenze quali: l’abilità di spiegare fenomeni scientificamente, di valutare e progettare una ricerca scientifica e di interpretare dati e prove scientificamente, che sono invece parte integrante del modello Pisa.
Per quanto riguarda l’interesse dei nostri studenti per la carriera lavorativa nel campo delle scienze, anche qui non ci sono miglioramenti, infatti tra il 2006 e il 2015 la parte di studenti che si aspetta di lavorare nei settori legati alle scienze è diminuita del 2,7% soprattutto a causa della diminuzione della percentuale di studenti maschi che dichiara di voler lavorare nel campo dell’ingegneria e delle scienze “dure”, che infatti nello stesso intervallo di tempo è scesa del 3%.
Siamo quindi di fronte a una questione sociale e culturale oltre che scolastica. Le scienze sperimentali risultano poco appetibili per i nostri studenti e talvolta ostiche da imparare. Invece dovrebbero essere uno dei centri d’attenzione maggiori delle politiche scolastiche, data la supremazia culturale che stanno esercitando sempre di più nel mondo contemporaneo. Purtroppo sembra che ancora non ci sia sufficiente coscienza di questo orizzonte culturale entro cui i sistemi scolastici devono far crescere i loro studenti.