Terminate le iscrizioni on-line alle classi prime delle scuole superiori, è ora il tempo delle analisi e della percezione delle aspirazioni, anche dei sogni, degli studenti e delle famiglie. Per quello che possono esprimere, questi ragazzi, a 13-14 anni.
I licei, tanto per andare al sodo, da un lato, continuano e continueranno a crescere, ben oltre il 50%, e gli istituti professionali, dall’altro, saranno sempre la cenerentola dell’offerta formativa italiana?
Da un lato abbiamo il Lazio, col suo 64,9% di scelta liceale, dall’altro il Veneto, fanalino di coda con il 44,9%, comunque in crescita rispetto a due anni fa (42,3%) e allo scorso anno (44,4%).
Per alcuni il trend favorevole ai percorsi liceali è dovuto, in particolare, al boom del liceo delle scienze applicate, quello con informatica al posto del latino, tanto per intenderci, nato da una costola del liceo scientifico. Per altri, questi dati segnano da un lato la precocità di una scelta di scuola superiore (a 13 anni) poco in linea con l’auto-trasparenza, su attitudini e capacità, dei nostri ragazzi, e dall’altro la preoccupazione delle famiglie di riservare ai propri figli scelte che, in qualche modo, in attesa di un chiarimento su quelle attitudini, costituiranno una solida base formativa per future scelte, sapendo che il diploma delle scuole superiori non è così vincolante come in passato (anche se il crollo delle iscrizioni universitarie ci dice tante cose).
Ma c’è un altro fattore che, ho notato, favorisce i percorsi liceali: il fattore ambientale. Si è affermata, cioè, l’idea che i licei siano comunque degli ambienti — in termini educativi — più accoglienti e protettivi, per cui sto ricevendo queste confidenze da tante famiglie, nel caso di difficoltà scolastica dei propri figli: “se non sono cinque saranno sei anni, basta che faccia un liceo, perché è un ambiente più tranquillo”.
Difficile, in queste situazioni, continuare a ribadire la pari dignità dei percorsi di istruzione, come della varietà di talenti ed attitudini dei nostri ragazzi che è giusto che incontrino e seguano percorsi più adatti, più funzionali alle proprie passioni, desideri, sensibilità, eccetera. Difficile.
Essendo responsabile di un liceo a sei indirizzi con 2.130 studenti, per la prima volta, vista la carenza di spazi, ho dovuto mettere dei filtri in entrata: tre anni fa gli iscritti in prima erano 400, due anni fa 425, lo scorso anno 516. Inimmaginabile reggere a questo trend, avendo saturato tutti gli spazi possibili. Per cui ho introdotto, col consiglio di istituto, due criteri base: l’indicazione della scuola media ed il raggio geografico.
Facile immaginare anche le proteste e le difficoltà da parte delle famiglie e dei docenti delle scuole medie, sapendo, comunque, che, sino allo scorso anno, il 50% circa delle famiglie non ha seguito il giudizio orientativo dei docenti delle terze medie.
Questo messaggio, comunque, ha funzionato, perché il risultato è stato di 448 iscrizioni, per 16-17 classi prime, che compensano l’uscita di 16 classi quinte.
Resta, infine, la questione della pari dignità: essendo vincolante, visti i numeri, il giudizio orientativo delle scuole medie, è giusto o no che i consigli di classe delle prime liceali esprimano un giudizio orientativo, durante gli scrutini del prossimo giugno, per quei ragazzi che hanno espresso difficoltà e che, pur bocciati, richiedano di iscriversi un’altra volta in prima liceo? Se, cioè, la valutazione è orientante, in che misura dare corpo a questo orientamento alla fine del primo anno, dopo avere operato in questo senso nei primi mesi di scuola, nelle classi prime? Come si vede, si tratta di una discussione aperta, complessa, anche perché, lo sappiamo bene, ci sono casi e casi, e non sempre gli stessi ragazzi, a pari condizioni e negli stessi tempi, riescono a maturare le proprie attitudini e aspirazioni.
Perché resta comunque vero che, a 13 o a 14 anni, non sempre queste attitudini sono evidenti, come non sempre le condizioni delle famiglie, sempre più in crisi a livello educativo, sono di supporto e aiuto a livello di orientamento, ma anche a livello di motivazione, di percezione del valore della formazione, e quindi della cultura, per la crescita dei propri figli. Tutte cose non scontate nel nostro contesto utilitaristico, se non nichilistico.
Questo ragionamento fa da pendant al mancato riconoscimento, in molte regioni italiane, dell’istruzione tecnica, non più da intendere come seconda, cioè di serie B, rispetto ai licei, ma di effettiva pari dignità.
Fa dunque piacere leggere che il mio Veneto è primo in Italia per le iscrizioni negli istituti tecnici, con un positivo trend di crescita: il 37,5% di quest’anno, contro il 36,6% dello scorso anno. In Friuli il dato è fermo al 36,4% ed in Lombardia al 35,4%. Ma se crescono, sempre in Veneto, ma non solo, i liceali e gli iscritti agli istituti tecnici, chi invece patisce di questa situazione? Sono gli istituti professionali, mentre i cfp sono legati ai corsi autorizzati dalle singole regioni.
Perché i dati migliori sugli istituti tecnici li troviamo in queste regioni del nord? Per la presenza forte dei distretti industriali del mondo della manifattura, ancora presente in modo capillare nonostante la delocalizzazione e la crisi del 2008.
Possiamo dire che la riforma Gelmini del 2010 ha fallito per gli istituti professionali? Certo. Sia per la proposta curricolare dei vari indirizzi come per la popolazione scolastica, sempre più formata da studenti stranieri, ragazzi con vari handicap o fortemente demotivati.
Sentendo tante storie e situazioni, dovremmo tutti riconoscere un bonus particolare ai docenti di queste scuole, per il valore formativo, al di là degli aspetti culturali, che comunque garantiscono a questi ragazzi e alle loro famiglie. Sarebbe giusto aprire una libera discussione, ma seria, su questi aspetti.
Restano gli Its, cioè i percorsi post-secondari, a struttura biennale, di alta specializzazione tecnica nati nel 2010. Sono un’ottantina in Italia, in numero crescente. E’, senza forse, l’unico vero passo in avanti della storia formativa e scolastica italiana di questi anni. La novità è il crescente numero di studenti dei licei scientifici, e non solo, che si affiancano ai diplomati degli istituti tecnici per concorrere ad uno dei 24 posti per corso attivati dai vari Its. La garanzia, almeno in Veneto, di occupabilità è vicina al 90%.