Ho insegnato inglese e ora spagnolo in varie scuole superiori della Liguria. Sono in servizio da 10 anni, quasi continuativi, ma sono troppo giovane per essere stata inserita nelle Gae. Infatti faccio parte della graduatoria di seconda fascia, assieme alle decine di migliaia di docenti che non hanno avuto il privilegio di entrare nella scuola ope legis, con la legge 107, ma a cui spettano ancora le forche caudine del concorso ordinario appena bandito. All’annuncio del bando mi sono chiesta cosa voglia ancora la Stato per farmi insegnare e volgendomi indietro ho passato in rassegna la mia pur breve carriera professionale.



Dopo il regolare percorso di laurea, al termine del quale ho intuito la passione per l’insegnamento, ho cominciato la carriera del “precario” con qualche supplenza temporanea o annuale per la quale nessuno ha mai controllato la mia idoneità psicofisica, né le competenze disciplinari o pedagogiche.

A nessuno è mai importato chi fossi e mi presero solo perché potevo tappare le falle nell’organizzazione del personale della scuola. Entrai così nelle graduatorie di terza fascia e cominciai a pieno titolo ad esercitare la professione.  Dall’Inferno (ovviamente metaforico) però dovevo passare al Purgatorio. Mi serviva l’abilitazione all’insegnamento. Ed eccomi inglobata nella macchina dei corsi abilitanti. Da una parte c’è il celeberrimo tirocinio formativo attivo (Tfa) per chi non ha maturato sufficienti anni di servizio e richiede l’esame di accesso a pagamento, e dall’altra il Pas (percorso abilitante speciale) per chi ha maturato almeno tre anni di servizio. In costo non è irrilevante, per chi è all’inizio della carriera e non vuole più gravare sulla famiglia. Ho speso per il Pas ben 2.500 euro senza considerare le spese di viaggio, di vitto per frequentare il corso organizzato dalle università. Io che abito fuori provincia non ho tenuto il conto, ma alla fine il conto è stato salato.



E qui arriva il bello. Innanzitutto bisogna ricordare che si accede con esame di concorso. Tra i vincitori della selezione iniziale, alcuni speravano che il corso con obbligo di frequenza di sei mesi, avendo un costo così elevato, sarebbe stato una formalità, una sorta di corso di aggiornamento con esami finali. E invece no. È stato più complicato dell’università, prima di tutto perché nessuno dei partecipanti era un ragazzino spensierato affamato di conoscenza, bensì un adulto con famiglia a carico e lavoro. Si usciva dal lavoro e si frequentava nel weekend, dal venerdì pomeriggio, tutto il sabato e la domenica. Al lunedì, alle otto, tutti al lavoro. 



Beh, penserete che bastasse il sacrificio di frequentare! Avevamo delle scadenze ristrette per consegne obbligatorie dalle quali dipendeva il nostro giudizio finale. E così per sei mesi abbiamo dormito tre o quattro ore a notte per riuscire a consegnare nei tempi richiesti compiti complicati che richiedevano una certa accuratezza. 

Questo lavoro è stato preparatorio agli esami veri e propri: 6 prove scritte e sei prove orali della parte generale e altrettanti scritti e orali per la parte disciplinare inerente alla classe di concorso: in tutto 12 scritti e 12 orali. Una sola prova non superata comprometteva l’esito dell’intero corso. Ebbene, rispettate tutte le consegne, superati gli esami scritti e orali e avendo firmato ogni ora frequentata si poteva accedere all’esame ministeriale conclusivo, composto da una commissione interna e da membri esterni di fronte ai quali dovevamo discutere una tesina e dimostrare tutte le competenze acquisite e maturate nel corso dell’esperienza di insegnanti. Per le classi di concorso di lingue il colloquio avveniva ovviamente in lingua straniera. E questo sarebbe il purgatorio del docente, ma posso assicurare che per molti è stato un vero inferno. Il tutto poi per accedere alla sola abilitazione. Avrete ovviamente capito che molti docenti, dopo tanti anni di docenza, non sono stati considerati idonei all’esercizio della professione. 

Ora, dopo che ci siamo arrampicati nei gironi infernali, che siamo già stati ampiamente e severamente valutati e selezionati con prove sistematiche e precise, esaminati da docenti universitari e da rappresentanti del Miur, dovremmo ancora superare un concorso? Ma quali conoscenze dobbiamo ancora avere? Chi ci deve ancora valutare? Ed è noto che il concorso ordinario prevede un programma di conoscenze forse ancora più ampio di quelle mostrate nel Pas. Forse lo Stato vuole una prova di resistenza del nostro equilibrio mentale? Vorrei sapere quale altra professione è sottoposta a selezioni simili per arrivare ad avere un posto fisso nel precariato. E poi quanto spreco di energie, quante risorse buttate al vento. Il tutto per una gestione approssimativa del personale scolastico, per una programmazione quasi del tutto inesistente, fatta da funzionari che dovrebbero stare altrove. Cade a proposito il noto adagio di Cicerone “Quo usque tandem…” eccetera.

Eppure l’insegnamento è una professione per me affascinante. Eppure, la buona scuola ha bisogno di professionisti talmente appassionati da poter sopportare un percorso interminabile della propria carriera, il faticoso inseguimento di un traguardo inafferrabile, al punto che quando lo si scorge in lontananza viene spostato più in là.

Invece di formare persone motivate, all’altezza delle sfide educative e dei giovani di oggi, lo Stato le tartassa, le utilizza, le considera sempre inadeguate e sempre da valutare. Questa è la condizione di noi precari abilitati, con 10 o più anni di servizio e con un’età media che supera i 35 anni. Siamo i buoni della Buona, nuova scuola. Siamo un esercito che ha giurato tacitamente fedeltà a certi valori, all’altruismo, alla tenacia, alla consapevolezza di una grande responsabilità sociale, all’amore verso i giovani. Sono proprio questi giovani fragili e talvolta smarriti oltre che acerbi nella loro tenera età che ci risvegliano il desiderio di dare loro speranza, di far loro crescere la fiducia che potranno vivere attivamente in un paese che a loro appartiene.

Gli insegnanti, e tra loro i molti precari, spesso sono denigrati e persino derisi nella loro funzione da parte di chi pensa che stiano spendendo risorse con scarsi risultati. Bisogna invece creare percorsi certi per la formazione dei docenti, con minori esami, e minori umiliazioni e frustrazioni da sopportare in termini di anni di servizio saltuari, di corsi abilitanti, magari con tirocinio dopo aver già diverse volte promosso, bocciato, rimandato, esercitato centinaia di ore d’aula, per non elencare tutte le altre numerose mansioni del docente. Io dico basta a chi ci chiede di sottoporci ad un ulteriore concorso, per l’ennesima ridicola e ingiusta valutazione che tuttavia non garantirà ancora il traguardo della cattedra.