Il vecchio treno a carbone del concorso 2016 per i docenti si è messo in movimento, con qualche ritardo e sbuffando parecchio. La prima prova è di tipo scritto-grafico, può durare fino a due ore e mezza. Quella orale di 45 minuti sarà occupata quasi per intero dalla lezione simulata e dalla verifica di lingua straniera. Le prove scritto-grafiche sono composte di otto quesiti, inerenti alla trattazione articolata di tematiche disciplinari, culturali e professionali, volti all’accertamento delle conoscenze e delle competenze didattico-metodologiche, in relazione alle discipline oggetto dell’insegnamento. Sei quesiti sono a risposta aperta; due, articolati ciascuno in cinque domande, sono a risposta chiusa, volti a verificare la comprensione di un testo in lingua straniera, prescelta dal candidato tra inglese, francese, tedesco, spagnolo, almeno a livello B del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue. Nel caso delle classi di concorso di lingua straniera, l’intera prova scritta conserva il medesimo schema, ma si svolge in lingua. 



Già si è detto dell’inadeguatezza strutturale di quel treno rispetto al traguardo da raggiungere: quello di selezionare i candidati più capaci di stare in una classe. Ma uno sguardo all’Allegato A conferma l’orrenda coazione a ripetere della burocrazia ministeriale, che è evidentemente fuori controllo. Il sottoscritto ha fatto l’esame di abilitazione nel 1969: un lungo tema su Hegel e un’esame orale di storia della filosofia. Da notare che mi ero laureato un anno prima, freschissimo di studi. Il meccanismo è rimasto invariato, si è solo dilatato il campo dello scibile umano. A quelli della mia generazione toccò la ventura di essere immessi in ruolo dopo qualche anno di insegnamento, senza il relativo esame. Che comunque sarebbe stato la ripetizione di quello di abilitazione.



Ai candidati di oggi, già laureati in 4/5 anni, già abilitati, si presenta da esplorare uno scenario enciclopedico che parte dall’antichità ai nostri giorni: filosofia, psicologia, sociologia, antropologia, pedagogia, storia, letteratura, didattica, valutazione ed autovalutazione, le indicazioni nazionali, ordinamenti, istituzioni, varie linee guida, legislazione scolastica, direttive europee… Già si è detto che il concorso è tutto schiacciato sulla dimensione cognitiva. E quindi non è in grado di scegliere chi è capace di insegnare. Sceglie chi ha buona memoria. Solo che qui il campo cognitivo-disciplinare è abnorme. Sarebbe almeno stato opportuno restringere il campo alla corrispondenza con indicazioni nazionali specifiche. 



Intanto questa enciclopedia ha già ottenuto un primo effetto. Che i soggetti più diversi, soprattutto sindacali, stanno proponendo corsi di preparazione al concorso, on line o in presenza, a pagamento salato. Editori di vario genere, legati alla scuola, stanno stampando degli instant-Bignami, che usavano una volta gli studenti negligenti o iperansiotici prima degli esami. Centoni ignobili. Sì è messa in movimento ancora una volta l’industria dei concorsi, che il ministero continua ad alimentare, con grandi profitti per chi la mette in piedi (si provi a moltiplicare per 200mila concorrenti il costo minimo di un corso: mille euro!?).

Il secondo effetto è che un campo così vasto lascia spazio ad ogni arbitrio possibile in fase di valutazione e di correzione. Essendo scarsamente diffusa la figura di Pico della Mirandola, non sarà difficile bocciare o promuovere a capocchia. Dipenderà dalla soggettività e dal buon senso di chi corregge. Oppure dovremo aspettarci delle nuove linee-guida per i correttori?

Non stupisce che l’apparato ministeriale produca dei concorsi-monstre. E’ l’unica cosa che ha sempre fatto. Colpisce molto l’assenza della politica in tutto ciò. Lo spirito della Buona Scuola si è perso nel labirinto burocratico. Solo che a pagare lo scontento dei candidati respinti e quello dei ragazzi e delle famiglie per la scarsa preparazione all’insegnamento di quelli promossi non sarà il ministero, sarà la politica.