In questi mesi nelle scuole è in corso un ampio dibattito sulla questione del cosiddetto bonus dei docenti. Di cosa si tratta? La legge 107 del 2015 (“Buona Scuola”) ha introdotto, come sappiamo, una serie di novità: una delle più importanti e discusse è appunto la valutazione dei docenti, cui è legato un riconoscimento economico che nella finanziaria per il 2016 è stato quantificato in 200 milioni di euro, quindi presumibilmente 20/25mila euro lordi per scuola, peraltro non ancora assegnati.
La discussione ha assunto toni aspri sia in sede di elaborazione del disegno di legge, sia ora che ci troviamo nella fase di applicazione. Le ragioni di queste tensioni sono molteplici: proviamo a riassumerle.
1. Alcune riguardano le modalità di individuazione dei docenti da valutare e da premiare. La legge ha previsto un Comitato di valutazione composto da tre docenti, due genitori (o un genitore ed uno studente nelle scuole superiori), un esperto esterno individuato dagli Uffici regionali del ministero e naturalmente il dirigente scolastico. Il Comitato stabilisce dei criteri e degli indicatori che debbono rifarsi a tre aree generali stabilite nella legge stessa (si vedano, in proposito, gli interessanti suggerimenti elaborati dalle associazioni professionali Diesse e Disal); il dirigente dovrà procedere all’attribuzione dei soldi ai docenti che rientreranno in quei parametri.
Quanti docenti potranno essere premiati? Lo decide il dirigente. Quali docenti premiare? Lo decide il dirigente. E quindi fa immediata comparsa la prima grande obiezione che è stata sollevata: la legge attribuisce troppa discrezionalità ai dirigenti che dovranno decidere. In realtà anche tra molti dirigenti aumentano le perplessità, perché non si tratta affatto di un potere maggiore, ma di un problema ulteriore: sono perplessità, è bene precisarlo, che non nascono dal volersi sottrarre ad una responsabilità (a dire il vero l’ennesima che viene scaricata sui ds), né sono spaventati dalla complessità dell’operazione, ma da una serie di considerazioni che riguardano da una parte l’obiettività dei criteri definiti, e dall’altra il possibile rischio che ne consegue per l’eccessiva discrezionalità. Infine i tempi: se tutto va bene le scuole, o meglio i comitati, definiranno i criteri entro marzo; si dovrà procedere alla raccolta della documentazione tra aprile e maggio e infine, in estate — mentre tanti sono al mare o in montagna — a stilare schede e graduatorie. Insomma il problema vero è che i presidi non possano fare bene, con equità e serietà, un compito cui peraltro attribuiscono una grande importanza.
2. Ma c’è un’altra questione, che è di natura culturale. L’introduzione del bonus rappresenta una forte discontinuità rispetto al passato, che infrange un decennale tabù: si tratta della possibilità di valorizzare la professionalità dei docenti, introducendo elementi per premiare il merito; siamo lontani ancora da una revisione del percorso professionale, cioè la creazione di profili diversificati e di progressioni di carriera non legate al meccanismo automatico dell’anzianità, ma agganciati alla qualità del lavoro, all’impegno per il miglioramento degli apprendimenti degli alunni, all’aggiornamento professionale, alla ricerca e sperimentazione di nuove modalità didattiche.
Ciononostante la legge 107 introduce una novità importante, provando, anche se non in modo del tutto convincente, a rispondere alla domanda che tutti genitori si pongono quando iscrivono i propri figli a scuola: quali sono i bravi insegnati di quell’istituto? E cosa possiamo fare per incentivare i migliori?
La questione bonus rappresenta dunque una grande opportunità per il sistema scolastico italiano: riflettere su qual è il valore aggiunto, l’apporto che i docenti possono dare e danno alla crescita dei ragazzi per innalzare davvero la qualità della scuola. Un dibattito impossibile fino a qualche anno fa, ma oggi possibile anche all’interno di scuole dove gli insegnanti rigettano una situazione che appiattisce il lavoro su un livello burocratico e di semplice adempimento di compiti, mentre si avverte che lo Stato deve riconoscere e valorizzare chi fa e fa meglio. Non impiegati, dunque, ma professionisti, disposti ad essere valutati ma nel contempo a vedere riconosciuto ed apprezzato il proprio impegno.
3. Che la questione sia decisiva affiora anche seguendo certe polemiche e prese di posizione in questi ultimi giorni da parte dei sindacati, che vorrebbero ridurre l’attribuzione del bonus ad un’altra questione da affidare alle contrattazioni sindacali di istituto, riducendo quindi il tutto ad un altro tassello del sistema burocratico dal quale, invece, è evidente che si debba uscire. La questione non può tantomeno ridursi ad una contrapposizione di sigle sindacali, tra conservatori ed innovatori.
4. Va però sottolineato un altro aspetto: proprio perché si tratta di una svolta, sarebbe necessario che il dibattito fosse sempre più ampio e condiviso all’interno delle singole scuole su come poter procedere, con quali strumenti, con quali priorità, insomma che le decisioni siano frutto di riflessione tra i docenti, senza contrapposizioni con i presidi, come se fossero la controparte, e coinvolgendo i genitori e gli studenti. Non sarebbe utile, considerando l’attesa di decenni, che il ministero rinviasse l’attuazione del provvedimento di qualche mese, se non al prossimo anno scolastico, proprio per dare alle scuole il tempo necessario per una condivisione profonda di finalità, criteri e strumenti? La scuola non ha bisogno di ulteriori contrapposizioni, ma di un clima di collaborazione nel quale la professionalità di ognuno possa esprimersi ed essere premiata.
Non vorremmo che i tempi ristretti con cui si dovrà procedere, con l’inevitabile conseguenza di scelte affrettate e il rischio di soluzioni discutibili, trasformi una grande opportunità per un salto qualitativo della scuola in un fallimento nel quale potranno trovare conferma le posizioni di chi pensa (e spera) che in fondo il cambiamento non è possibile e tantomeno necessario. Lo stesso ministero di viale Trastevere dovrebbe considerare una soluzione netta nelle finalità, ma meno rigida nella prima fase di applicazione, proprio per il valore che a tale provvedimento ha mostrato di voler attribuire.
Si tratta di una fase decisiva: o si fa un passo avanti, ma insieme, o ancora una volta dovremo rimpiangere una occasione perduta.