Che la scuola cattolica educhi a una certa visione della vita è assodato, altrimenti non sarebbe cattolica. Che poi possa imporre agli studenti in modo coercitivo la sua visione è tutto da dimostrare. Ma per un giudice di Milano che doveva diramare un conflitto fra due genitori separati sul destino educativo dei figli (il padre chiedeva la scuola pubblica, la madre che continuassero l’istituto cattolico fino ad adesso frequentato) il dubbio non esiste. Come si legge nella sentenza: “meglio che frequentino la scuola pubblica perché quella cattolica potrebbe orientare il minore verso determinate scelte educative”. Non sia mai: meglio una bella neutralità statalista ignorando la scelta educativa della madre. Nel dubbio cioè vince sempre lo Stato. Che poi la scuola statale, a seconda dell’insegnante, non “orienti” lo studente verso “determinate scelte educative” è un dato di fatto anche questo, in quanto gli insegnanti hanno (giustamente) le loro idee e le comunicano agli studenti, spesso e volentieri influenzandoli. I due ragazzini, 12 e 9 anni, quando i genitori erano uniti frequentavano scuole paritarie di indirizzo cattolico. La madre ha chiesto che continuassero, il giudice l’ha messa dapprima sul piano economico (“pretendere che i figli continuino a godere del medesimo benessere che prima poteva essere garantito costituisce l’espressione di un ‘diritto immaginario’ che non trova tutela nell’ordinamento giuridico”) poi ha sentenziato che  “laddove sussista conflitto dei genitori separati sulla frequenza dei figli tra scuola privata e pubblica” in mancanza di evidenti controindicazioni” allora la decisione dell’Ufficio giudiziario non può che essere a favore dell’istruzione pubblica”.



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