La storia è una delle materie più svilite nel panorama scolastico italiano. Anche nella recente revisione delle classi di concorso scuola è stata lasciata ai margini e relegata ad essere disciplina sussidiaria. È sempre aggregata a un’altra materia come italiano o filosofia, oppure ne è stato fatto un ibrido, quando nel biennio del liceo scientifico è stato varato l’insegnamento della geostoria.
Ciò nonostante è una delle discipline più diffuse, dato che compare in tutti i curricoli sia del primo che del secondo ciclo. Il ministero le ha solo cambiato numero, ora nei licei si chiama A19 “Filosofia e Storia”, oppure, anche qui con un numero differente rispetto al passato, in tutti gli altri indirizzi del secondo ciclo, viene indicata come A12, “Discipline letterarie negli istituti di istruzione secondaria di II grado”. Addirittura in questo caso scompare anche il termine “storia” e la materia viene annacquata nelle mare magnum delle discipline letterarie. Errore di prospettiva, o volontà di diluire la comprensione del tempo storico all’interno delle discipline umanistiche.
Eppure si è presentata un’ottima occasione per dare maggiore dignità alla scienza che studia i fatti. Ma potevamo pensare che il ministro Giannini, che ha insegnato linguistica all’università, potesse accorgersi di uno svarione simile? Si poteva pensare che gli esperti del ministero fossero lungimiranti? Purtroppo in questo settore ha nuovamente vinto la conservazione e tutto è rimasto uguale a poco meno di un secolo fa, quando Gentile introdusse la riforma liceale, regnante Vittorio Emanuele III e il governo affidato alle arti di Benito Mussolini.
È notorio che la maggioranza dei docenti che insegnano al liceo abbiano una formazione filosofica, mentre negli istituti tecnologici prevalga l’ascendente letterario. Insomma, stretta tra la teoresi e l’analisi del testo la disciplina storica diventa la cenerentola delle materie umanistiche e spesso si sente dire che per avere successo “basta studiarla”. Moltissimi docenti condiscono la disciplina ripetendo pedissequamente la cronologia di libri di testo spesso scadenti e arbitrari, mentre gli studenti devono subire uno studio pedissequamente mnemonico. Si spiega così perché tra i banchi, dove i giovani si avvicinano alla storia, aleggi una noia mortale.
Alcuni illuminati hanno formulato la bizzarra tesi che i nuovi curricoli contengano in sé gli strumenti per innovare e che sono gli insegnanti, conservatori e poco preparati, a ripetere sempre le stesse cose. Forse è vero, ma allora tutta la scuola italiana, che sulla carta aspira alla valorizzazione delle competenze, affoga poi nella formulazione dei contenuti, grazie a esami di stato che permettono di misurare solo i livelli delle conoscenze. La storia è narrazione, arte del perché e del come, studio delle relazioni e degli uomini, disciplina principe che insegna la tecnica dello studio, senza dimenticarsi dei dati. È attratta dalla concettualizzazione, ma proprio perché è attaccata alla realtà vuole star lontana dalla dittatura delle idee.
Se è improprio ridurla a studio delle ideologie, deve anche tener conto della misurazione del tempo e la cronologia è essenziale per capire l’evoluzione di un fenomeno di corta o lunga durata e sulla bocca del docente dovrebbe prevalere il “perché” piuttosto che il “dimmi”. Se in un’aula, come d’incanto, irrompesse l’immagine dello scalpitare dei cavalli e il sussulto frenetico del terreno causato della cavalleria napoleonica che arranca sulla collina di Waterloo, oppure fosse invasa dalle urla di Cesare colpito dai pugnali amici, la disciplina storica potrebbe avere un futuro. Nel frattempo i posti su tutto il territorio nazionale disponibili per l’insegnamento disciplinare delle materie letterarie alle scuole medie ammontano a 5.111 (italiano, storia e geografia, A22) e 3.006 nei tecnici delle superiori (A12), confluite nell’ambito disciplinare 4, mentre la classe A19 nel triennio dei licei, filosofia e storia, consta solo di 421 posti ed è inserita nell’ambito disciplinare 6. Davvero pochi rispetto ai circa 4.200 docenti di diritto inseriti dalla Buona Scuola negli organici del potenziamento derivanti dalle oramai antiche graduatorie ad esaurimento.
La prova scritta consta di sei quesiti disciplinari in italiano e due in lingua, ma se nell’ambito 6 si fanno due prove scritte (prima filosofia e poi storia) nel 4 italiano, storia e geografia sono sullo stesso piano. In questo caso la disciplina storica viene annacquata con la letteratura e la geografia, mentre nell’altro caso non si passa all’orale se non si supera filosofia.
Insomma, di fatto, come è accaduto in passato, la storia subisce sempre una subalternità che ne svilisce la specificità. Una tendenza che poi continua nelle aule scolastiche, per cui un laureato in storia non può aspirare a una cattedra di liceo perché sempre associato alle competenze filosofiche o letterarie. Il riordino delle classi di concorso ha dunque mancato una vera occasione di dare dignità culturale a una scienza che nel panorama culturale ottiene ampio consenso dal vasto pubblico. Vedremo se, per la scuola italiana, persa l’ultima occasione, siamo alla “fine della storia”; in ogni caso, con queste premesse, possiamo scommettere che gli studenti continueranno a dormire sui banchi.