I numeri forniti dal servizio statistico del Miur ci informano che nella scuola pubblica statale gli studenti sono 7.878.661. Nella scuola pubblica paritaria, quasi tutta di ispirazione cattolica, gli studenti italiani sono 993.544, l’11,20% degli studenti.

Le istituzioni scolastiche della scuola paritaria sono 13.625, con circa 50mila classi: nelle 9.781 scuole d’infanzia ci sono 621.919 alunni, circa il 62% della scuola paritaria; 186.356 nella primaria, il 18,76%; 66.158 nella secondaria di primo grado, il 6,66%; 119.111 nella secondaria di secondo grado, l’11,99%.



Nel 2015 il Bilancio dello Stato ha stanziato 49.418 milioni di euro per l’istruzione statale; 494 milioni per quella paritaria (1,2%).

Quanto al trend, gli studenti statali e paritari tendono a diminuire, a causa del persistente calo demografico, solo in parte compensato dai figli di migranti.

Gli alunni delle scuole paritarie hanno oscillato tra il 2006 e il 2013 da 1.130.392 a  1.036.403; in percentuale tra l’11,54% e l’11,60%. Nel 2013-14 sono scesi a 993.544, cioè all’11,20%.



Se dalle statistiche ministeriali, che arrivano sempre in ritardo di un paio d’anni, si passa ai racconti quotidiani delle singole scuole paritarie, la disaffezione verso le paritarie sembra allargarsi e, conseguentemente, crescere l’allarme dei dirigenti e committenti.

Del relativo — ma forse costante — calo vengono generalmente individuate due cause: l’inverno demografico italiano e i finanziamenti sempre più magri.

L’ostilità ideologica contro la scuola pubblica paritaria — ma l’ideologia corrente continua a nominarla come “privata” – resta potente e percorre, a tutt’oggi, le vene del partito di maggioranza e il senso comune del Paese. Privata, cioè per ricchi. La stessa legge 62/2000 sulla scuola paritaria non ha affrontato radicalmente la questione sul piano finanziario. Perciò, ogni anno le scuole paritarie devono aprire un contenzioso “sindacale” con il governo di turno per ottenere qualche spicciolo.



C’è, tuttavia, una terza causa, che i gruppi dirigenti delle scuole paritarie tendono ad occultare. Che cosa chiedono i genitori ad una scuola paritaria cattolica? La prima domanda è quella della protezione socio-morale dei figli da un mondo percepito come pericoloso. Non chiedono molto altro. Del resto, parecchi genitori non sono neppure credenti o lo sono scarsamente. Iscrivono i figli alla scuola cattolica non perché vengano educati ad uno sguardo religioso sul mondo, ma per proteggerli. Funziona un pregiudizio positivo sulla capacità delle scuole di ispirazione religiosa di insegnare la morale. Talora i genitori riconoscono di non essere all’altezza della funzione educativa che la natura e la storia hanno loro assegnato e, pertanto, delegano l’educazione morale alla scuola. La protezione: bloccare un accesso troppo facile al mercato delle droghe, punire severamente i comportamenti anomici, dissuadere dalle esperienze sessuali precoci, soprattutto le ragazze. Dal punto di vista propriamente culturale e didattico i genitori chiedono per i propri figli che siano messi in condizione di mostrare buone prestazioni, in vista di uno sbocco agli studi superiori. La stessa domanda la rivolgerebbero alla scuola statale. 

Ora, l’esercizio della protezione è sempre più difficile, man mano i ragazzi salgono lunga la scala degli anni. Non solo per una naturale tendenza dei ragazzi alla ribellione rispetto ai genitori e agli ambienti che ne prolungano la presenza — spesso ritengono offensivo che qualcuno pretenda di proteggerli e, quindi, chiedono di passare dalla scuola paritaria a quella statale nel ciclo secondario di secondo grado — ma, soprattutto perché la navigazione  nel web consente loro di sfuggire alle maglie strette vincolanti della vita reale in nome di una vita sociale virtuale sì, ma reale anch’essa, così come è reale la semiosfera, anche se nessuno la vede e la tocca. L’avvento dei social network ha aperto falle visibili e nascoste nella rete educativa delle relazioni familiari e scolastiche. Protetti o per meglio dire “inibiti”, finché stanno dentro le mura della scuola, si trovano totalmente disinibiti e fuori controllo quando ne escono al pomeriggio per camminare nel mondo reale e in quello virtuale. Esattamente come i loro coetanei della scuola statale. Se i genitori chiedono protezione, l’offerta ne può fornire sempre di meno. Questa è una prima causa della perdita del vantaggio competitivo da parte delle scuole cattoliche. Ma non è la principale.

Benché sia vero che la scuola ha una funzione sussidiaria rispetto alla famiglia, tuttavia è evidente che l’educazione in un ambiente scolastico non è semplicemente la continuazione di quella familiare con altri mezzi. Vi si aggiunge un campo di esperienza fondamentale: quello del sapere di civiltà, che l’istituzione scolastica da sempre amministra. il processo di acquisizione del sapere di civiltà è parte decisiva del processo educativo, che la famiglia non riesce a fornire, salvo in casi poco frequenti di educazione parentale. Il sapere non è un insieme di nozioni che si giustappone alle relazioni sociali, sentimentali, emotive e morali dei ragazzi, alla loro vita reale. E’ un’esperienza del mondo, un’apertura alla realtà, un incontro con la storia degli uomini e con l’universo fisico che abitano, nella totalità delle sue dimensioni. Educare non significa proporre il galateo delle buone maniere morali e sociali, ma porre la persona libera nel mezzo della storia passata e presente della storia degli uomini. E questo è il ruolo del sapere. E qui contano le modalità organizzativo-didattiche, attraverso le quali il sapere di civiltà diviene un’esperienza esistenziale della persona.

Ed questo il terreno che le scuole paritarie cattoliche devono scavare per comprendere le cause della caduta di attrattività.

 

(1 – continua)