Mentre scrivevo il mio ultimo articolo apparso su queste pagine in cui evidenziavo come un settore del sistema scolastico italiano, pur riconosciuto dalla legge dello Stato, anziché essere valorizzato incontra sempre più ostacoli nel poter esprimere la propria libertà ed autonomia organizzativa a vantaggio di una offerta formativa di qualità, usciva la notizia che entro il 2020 l’Inghilterra completerà il piano avviato da Margaret Thatcher, ma di fatto spinto con forza da Tony Blair e proseguito da David Cameron, di rendere autonome tutte le scuole del Regno Unito sul modello delle “Academies”.



La prima considerazione è di carattere politico poiché quanto è avvenuto in Inghilterra è e dovrebbe essere l’esempio di una modalità di azione politica che, di fronte alle esigenze di un Paese e del futuro dei suoi giovani, “sotterra l’ascia” delle ideologie e delle appartenenze politiche ed agisce proseguendo e completando progetti con mentalità da “statisti”, per perseguire l’interesse comune dei propri cittadini e del proprio Paese.



Non nascondo una certa invidia che aumenta se vado a rileggere quanto ho scritto nel citato articolo e quanto ho vissuto in questi anni e quando penso all’urgenza di dare una direzione diversa all’approccio della presenza della scuola paritaria nel nostro paese, dato che il tentativo di “statalizzazione” è strisciante, ed anche chi potenzialmente è favorevole alla nostra presenza giudica spesso in modo positivo il fatto che la legge 107 non citi praticamente mai la scuola paritaria: “poiché significa un pari trattamento”. Il problema è la risposta alla domanda: quale trattamento? L’opposto dell’autonomia!



E’ inequivocabile che la tendenza più forte è il tentativo di chiedere alla scuola paritaria gli stessi parametri organizzativi della scuola statale, modalità che dichiarerebbe la “morte definitiva” di questa esperienza che ha sempre vissuto sulla sua libertà organizzativa e sulla possibilità di una forte libertà di proposta didattica, senza la quale non avrebbe più armi di difesa in una competizione con la scuola statale, in considerazione di quanto sostengo da più di vent’anni: la retta versata da una famiglia per l’iscrizione dei propri figli presso le nostre scuole non paga un servizio, ma la “differenza di servizio”!

Già ora, con le difficoltà economiche, la forbice si è allargata mettendo in forte difficoltà un numero crescente di famiglie che ambirebbe iscrivere i propri figli presso una scuola paritaria, raddoppiandone la presenza in Italia, come più indagini scientifiche riportate anche nel nostro ultimo libro SOS Educazione. Statale, paritaria: per una scuola migliore dimostrano, e la situazione non potrà che peggiorare se verranno ridotti i livelli di libertà ed autonomia alle nostre scuole.

Del trittico di articoli di Giovanni Cominelli pubblicato in questi giorni su questa testata condivido una impostazione di fondo che, in sostanza, ricorda quanto, in una società che corre, limitarsi a curare il proprio orticello e limitarsi a continuare a far bene quanto proposto fino ad oggi non basta più, poiché le scuole paritarie “finiscono per offrire ad un certo costo ciò che molte scuole statali cominciano ad offrire gratis. Se le paritarie cattoliche (per me non solo quelle cattoliche) vogliono stare a galla e crescere, non hanno altra strada che quella dell’audacia dell’innovazione”. 

Perfetto, ma occorrono norme che diano piena libertà organizzativa e didattica, visto che le scuole debbono investire del loro (in carenza di contributi) per poter costruire una offerta formativa che abbia appeal su studenti e famiglie, invece trovano continui ostacoli burocratici e pretese dell’utilizzo di parametri organizzativi uguali alle scuole di Stato. Parametri che hanno senso solo nella corretta scelta dello “Stato Gestore” che punta a limitare i costi della propria gestione, ma non per la scuola paritaria che i costi deve sopportarli in proprio. 

Senza dimenticare una questione di fondo che imporrebbe, per pari dignità e nel rispetto delle leggi in vigore, l’avvio di pari trattamento fiscale (Imu) e territoriale (Tari), così come contributivo (Inps) per statali e paritarie ricordando, quasi a noia, che fanno parte dello stesso unico sistema nazionale, questione su cui mi riprometto di tornare con dati precisi.

Concludo ritornando al tema principale di questo mio intervento: la piena autonomia delle istituzioni scolastiche. Per onor di cronaca non è mancato il tentativo di far dare una accelerazione al sistema ed in occasione della consultazione per la “Buona Scuola” con un ristretto gruppo di autorevoli amici, come trovate nelle conclusione di SOS Educazione, avevamo proposto di avviare anche da noi una sperimentazione volontaria di piena autonomia per scuole statali e paritarie sulla falsariga delle Academies, ma nel rispetto della nostra tradizione culturale, visto che la normativa vigente lo permette (dall’articolo 21 della legge 15 marzo 1997 e successive norme attuative, es. articolo 11 del DPR 275/99, nel rispetto degli articoli 117 e 118 della Costituzione) e necessitava solo la volontà politica di darne il via ma, come è evidente, al momento non ha avuto esito.

Sono sempre più convinto che questa sia la strada migliore per rinnovare e modernizzare il nostro sistema poiché la gradualità di applicazione permetterebbe, senza scossoni, di risolvere i problemi in itinere, problemi che non sono mancati e non mancheranno nel Regno Unito come si evidenzia in una autorevole analisi di Norberto Bottani, ma la volontà politica che si pone con convinzione un grande traguardo strategico trova sempre le soluzioni.

Significative la parole di David Cameron alla presentazione dell’Academies Act in continuità e sviluppo di quanto avviato dai suoi predecessori: “La sfida più grossa è quella di rafforzare le scelte dei genitori e l’autonomia della società civile, in modo che “la gente stessa abbia il potere di migliorare il paese e i servizi pubblici attraverso i meccanismi di una democratica valutazione, competizione, scelta e azione”, parole che facciamo nostre con convinzione.

Non manca, di riflesso, la preoccupazione che il gap di innovazione rispetto agli altri sistemi scolastici aumenti dato che, visti gli esiti positivi avuti in tutti i paesi in cui si è valorizzato e completato il processo di autonomia, anziché avviare un processo positivamente rivoluzionario nell’interesse di studenti e famiglie, finiremo per accodarci fra qualche anno (spero comunque pochi), avendo comunque perso tempo ed esperienza preziosi.