Gli ultimi dati di Eurostat collocano l’Italia al penultimo posto tra i paesi europei, solo prima della Romania per finanziamenti alla ricerca, all’università ed alla scuola. Un sistema formativo, il nostro, che risulta apparentemente molto in crisi per quanto riguarda le disponibilità di fondi dedicati a contesti che dovrebbero essere strategici per l’evoluzione di un paese. E per quanto riguarda i risultati conseguiti e le modalità organizzative del lavoro di ricerca e didattica, quali riflessioni è possibile effettuare in relazione a riscontri dal variegato universo accademico italiano alla scuola secondaria superiore?



Risulta spesso “incomprensibile” il successo che alcuni nostri connazionali hanno nei paesi stranieri. Sulla base di diverse esperienze dirette e di diversi rapporti, tra i quali il più recente redatto dal Consiglio generale degli italiani all’estero (Cgie), i nostri studenti sono molto più preparati di allievi universitari di altri paesi tipo Stati Uniti, Gran Bretagna, eccetera. Emerge una più completa preparazione degli studenti italiani, significando con ciò una base di conoscenza solida ed ampia a fronte di una preparazione settoriale e molto focalizzata dei colleghi stranieri. 



E’ indubbio che i nostri migliori studenti, una volta lasciata l’Italia, abbiano successi comprovati in qualsiasi paese essi si trasferiscano. Magari inizialmente soffrono, ma in poco tempo recuperano il divario, che in molti casi risulta squisitamente tecnico, riuscendo infine ad emergere. Per quale ragione questo non avviene in Italia? Perché studiosi italiani emigrati raggiungono posizioni di dirigenza ad età considerate adolescenziali nelle nostre strutture? Rispondere a questa domanda vuole dire mettere sotto accusa un intero sistema che da anni non ha saputo o non ha voluto evolversi. 



Ma elencare le ragioni di questo grande rifiuto non porta da nessuna parte. E’ interessante invece analizzare asetticamente la situazione dal punto di vista sociobiologico. Innanzitutto chi raggiunge il successo nei paesi stranieri sono i migliori dei migliori. Nel senso che già chi decide di andarsene all’estero per avere migliori prospettive è un numero di giovani esiguo al confronto di chi resta. Tra questi chi si stabilisce in un paese estero sono solo quelle persone che trovano forti motivazioni per non tornare in patria, economiche o di posizionamento nella scala sociale. Un esauriente resoconto di questa tendenza è stato riportato nel 41esimo Forum Ambrosetti “The European House” del 5 settembre 2015.

Perché questo sistema non funziona in Italia? Porsi questa domanda significa mettere a problema un’immobilismo che ha caratterizzato il nostro paese negli ultimi 30 anni. Differenti sicuramente le ragioni di ciò; è prevalente forse una ragione che riguarda l’impostazione di base, un’organizzazione della struttura del sistema Italia che è necessario eviscerare per poter comprendere come — se mai esisterà una volontà politica — poter uscire da questa palude di cui non si vede la fine. 

E’ una questione di organizzazione delle strutture del Paese. Il problema è che tra le diverse strutture che sono funzionali alla nostra società deve esserci una coerenza che armonizzi tra di loro i diversi settori che le compongono. Sistemi che, ad iniziare dalla scuola superiore, dovrebbero essere orientati a formare menti pensanti in grado di apprendere i saperi in modo critico ed integrato, di comprendere l’unicità e la complessità del reale con la consapevolezza di una valorizzazione realmente meritocratica delle azioni dei singoli, e avendo al tempo stesso di mira una collettività di significato. Collettività caratterizzate da efficaci comunicazioni di confronto intra ed extra sistemi,  fondamentali per rimodulare le scelte delle singole azioni nel tentativo di ottimizzarle.

In questo crediamo sia illuminante lo studio degli esseri viventi e in particolare l’evoluzione delle strutture biologiche.

Per capire dove vogliamo parare occorre avere ben chiaro la differenza tra fenomeni analogici e fenomeni digitali. La definizione più diretta è che un fenomeno analogico, dal suo inizio alla sua fine, ha un numero di eventi infinito mentre in un fenomeno digitale il numero di eventi è definito. 

L’esempio più classico è quello della riproduzione musicale. Nei dischi di vinile la puntina di diamante viene fatta vibrare dalle asperità presenti nel solco e queste vibrazioni vengono tradotte in frequenze sonore. Nel compact disc il raggio laser legge delle serie numeriche prodotte da un codice a barre presente nei “solchi” del cd e un “trasduttore” associa ad ogni sequenza numerica una frequenza sonora precisa. E’ chiaro che la definizione del suono nell’apparato digitale dipende dal numero di frequenze che si riescono a codificare con il codice a barre: con 10 frequenze la musica sarà mal riprodotta, mentre con 100 frequenze diverse si avrà una riproduzione più accettabile. Che cosa rende sufficientemente buona la riproduzione musicale? Ovviamente il sistema ricettivo e quindi il nostro orecchio. Se, nell’intervallo di suoni che le nostre cellule uditive possono captare, riusciamo a produrre un numero elevato di frequenze, diciamo che la musica ha una buona riproduzione. Pochi di noi sarebbero oggi in grado di riconoscere una musica riprodotta da un apparecchio analogico (in condizioni ideali) piuttosto che da uno digitale. Eppure il numero infinito di frequenze prodotte da un disco di vinile è — appunto — infinitamente più elevato che in qualsiasi riproduttore digitale, semplicemente perchè il secondo, per sofisticato e tecnologicamente avanzato che sia, ha un numero di frequenze finite. Quindi il problema risiede nel sistema biologico di ricezione.

E qui arriva la domanda centrale: i sistemi biologici funzionano con logiche analogiche o digitali? Per comprendere bene questo punto occorre fare un esempio concreto nel mondo della fisiologia cellulare. Se si osserva il movimento di un dito che si piega lo si potrebbe descrivere come un movimento assolutamente “continuo”, quindi in principio si potrebbe associare ad un fenomeno analogico. Contrariamente a quello che è un senso comune, invece, il movimento provocato dalla contrazione del muscolo è un fenomeno “digitale”. 

Secondo l’ipotesi più accreditata, l’accorciamento del muscolo è dato dal ricorrente attacco e accorciamento di singoli ponti proteici tutti uguali fra loro che, con la loro singola azione, contribuiscono all’accorciamento totale del muscolo. Il numero dei ponti è una quantità finita. Quindi l’accorciamento muscolare risulta generato da un fenomeno digitale: elementi uguali tra loro in un numero finito che probabilisticamente in un tempo limitato si vengono a trovare in una posizione capace di contribuire a generare forza. Tutti i fenomeni biologici rispondono a questo meccanismo. 

Se passiamo ad un’ordine di grandezza superiore, quindi a livello cellulare, possiamo affermare che il passaggio da analogico a digitale, dal punto di vista dell’organizzazione del sistema biologico, si è avuto quando organismi unicellulari si sono evoluti in organismi pluricellulari. Un organismo unicellulare, come per esempio l’amoeba, è una cellula che racchiude tutte le funzioni che le consentono di sopravvivere. Quindi un sistema comunicativo, un apparato digerente, diversi recettori per mediare il rapporto con l’esterno, un apparato locomotorio, eccetera. Potremo definire, dal punto di vista funzionale, questo organismo unicellulare autosufficiente un organismo analogico. 

Con l’evoluzione si formano corpi biologici multicellulari. Fino a che gli organismi sono composti da poche cellule, la situazione non si discosta di molto da una organizzazione unicellulare. Ci si aggrega perché si sopravvive meglio, si resiste meglio ai predatori e si contribuisce con alcuni vantaggi alla vita del corpo biologico che non presenta particolari esigenze. Il coordinamento tra le cellule non rappresenta un problema data la vicinanza e la somiglianza dei componenti dell’organismo. 

Il salto qualitativo nella costruzione di organismi multicellulari avviene con lo sviluppo di un sistema di comunicazione e coordinamento tra i vari reparti dell’organismo. Quindi, contemporaneamente alla formazione di cellule che si specializzano a compiere una determinata funzione, deve svilupparsi un sistema di comunicazione che coordini e scambi continuamente informazioni tra gruppi di cellule che sono via via più diversi tra di loro. L’efficienza della comunicazione consente a gruppi di cellule tutte uguali tra loro di provvedere ad un compito specifico aumentando l’efficacia di quello specifico settore. Questi gruppi di cellule non sono autonome perché sanno eseguire solo un compito specifico. Grazie allo sviluppo di un sistema comunicativo avanzato (il sistema nervoso nel mondo biologico) l’organismo in toto risulta in grado di eseguire azioni sempre più complesse. Queste condizioni consentono lo sviluppo di organismi sempre più complessi con cellule sempre più specializzate grazie alla continua evoluzione e velocizzazione del sistema di comunicazione. Analogamente, e al contrario dell’organismo unicellulare, potremo definire questo sistema, dal punto di vista funzionale, un sistema digitale. Popolazioni di cellule uguali che compiono uno specifico lavoro, incapaci di vita autonoma, coordinate da un sistema efficientissimo di comunicazione tra i vari reparti. 

Proviamo adesso ad analizzare la situazione italiana da questo punto di vista. 

(1 – continua)