Delle considerazioni che fa Castagneto condivido tutto, fuorché l’essenziale, cioè l’ordine delle cause e degli effetti. Le paritarie stanno perdendo la scommessa, perché mancano i soldi o perché mancano “i principi”? La sua risposta: perché mancano i soldi. La mia: perché mancano i principi.
Che cosa sono “i principi”, nello specifico? Limitiamo qui il discorso alle scuole paritarie cattoliche. I principi, in breve e secondo me, sono: un’idea dell’uomo come homo religiosus; l’idea dell’uomo come persona, non solo come cittadino. Da questi due principi seguono pedagogie e didattiche e organizzazione delle istituzioni educative, ordinamenti, formazione degli insegnanti, sistemi di governance assai diversi da quelli delle scuole di Stato. Non ci torno sopra.
Ora, si deve prendere atto che le scuole paritarie dispongono di un tipo di sapere e di partizione disciplinare, di ordinamenti, di personale eccetera che sono gli stessi delle scuole statali. Nei tempi d’oro, reggevano, perché il loro scopo era clericale: difendere gli spazi politici della Chiesa, costruire classi dirigenti che fossero legate più alla Chiesa che allo Stato, selezionare set socio-relazionali privilegiati, garantire le famiglie circa la morale privata dei figli. Persino i seminari, dove si formava il clero e i futuri vescovi, avevano la stessa organizzazione/partizione disciplinare dello Stato.
In questi anni sono cambiate due condizioni: la domanda delle famiglie si è fatta più esigente e più flessibile. Si rivolgono alla paritaria per la parte di base o secondaria di primo grado. Dopo, passano alla scuola statale. In secondo luogo, la deideologizzazione delle scuole statali — starei per dire il processo di laicizzazione delle scuole statali — ha aperto la strada ad esperienze pedagogico-didattiche più spostate sull’asse della personalizzazione e dell’accompagnamento. L’inverno demografico ha acceso la concorrenza tra scuole statali: chi accompagna meglio? Pertanto, la diminuzione dei fondi non spiega la crisi delle scuole paritarie. E’ l’opposto: è la crisi di fascino educativo delle scuole paritarie che spiega la chiusura di molte scuole. Assomigliano troppo alle scuole statali.
Si può invertire la tendenza? Sì, a condizione che si costituisca un movimento unitario di tutte le esperienze, la cui prima ambizione sia quella di rispondere al tema dell’emergenza educativa con un’offerta educativa concreta e migliore di quella statale, in ordine alla capacità di accompagnamento di ogni ragazzo. Il che implica misure didattico-organizzative, compreso un utilizzo diverso del monte ore del personale.
Pertanto, il movimento deve definire una piattaforma culturale, pedagogica, didattica e organizzativa unitaria, di tutte le sigle. Se la scuola statale oppone resistenza all’attuazione del DPR 275/1999, non si vede perché la scuola paritaria non ne faccia, invece, la propria bandiera; se la scuola statale si oppone alla “Buona Scuola”, non si vede perché la scuola paritaria non ne sviluppi, invece, le potenzialità positive.



Tocca ai vescovi e alla Cei, per la parte che loro compete — penso alle numerose e potenti scuole/collegi diocesani — spingere e fare da collettori di tutti i soggetti coinvolti.
Sulla base dell’esistenza di un movimento reale si può e si deve aprire una battaglia culturale nella società civile e una battaglia politica con i partiti e con il governo per richiedere la parità finanziaria. Che non si riduce a chiedere i soldi per le proprie scuole. Ogni ragazzo che nasce nel nostro Paese ha diritto all’educazione/istruzione, che la famiglia scelga di dare, presso qualsiasi scuola, dentro i vincoli dei principi costituzionali.

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