L’ultimo rapporto quadriennale dell’Oms sulla salute e il benessere dei giovani europei rivela che gli adolescenti italiani sarebbero i più stressati dal carico di lavoro degli studi e hanno un pessimo rapporto con la scuola. Secondo lo studio tra gli undicenni solo il 26% delle femmine e il 17% dei maschi dichiarano che la scuola “piace un sacco”. Per i quindicenni le percentuali scendono rispettivamente al 10% e 8%. Meno entusiasti degli studenti italiani sono solo estoni, greci e belgi, mentre al primo posto ci sono gli adolescenti armeni con il 68% (femmine) e il 48% (maschi). 



Un dato davvero allarmante e preoccupante che deve far riflettere anche in considerazione  che le statistiche, purtroppo, non sono affatto migliorate rispetto al rapporto precedente. 

Secondo Franco Cavallo, curatore della parte italiana dello studio e ordinario di epidemiologia nell’Università di Torino, “la pressione esercitata sugli alunni non è un aspetto da sottovalutare, ed è molto probabilmente causata dalle richieste forse eccessive dei docenti, tarate sulla scuola e sui programmi di un tempo e meno sulle esigenze dei ragazzi che attraversano con l’adolescenza il periodo più lacerante e complesso della loro vita”. Cavallo evidenzia che “l’altra relazione problematica è quella con la famiglia, che rimane ancora una componente troppo estranea, poco partecipe di ciò che avviene a scuola, entrando talvolta anche in conflitto con essa”.



Ne consegue che gli adolescenti possano vedersi inadeguati rispetto alle attese dei docenti e delle famiglie e ciò aumenti il loro disagio, col rischio di costi sociali che possono diventare elevati se non si corre ai ripari. 

Sicuramente la scuola italiana non può restare sorda rispetto a questo forte disagio rappresentato dagli adolescenti. C’è urgente necessità di ripensare l’organizzazione degli spazi e della didattica in maniera più funzionale alle esigenze delle nuove generazioni. Bisogna smantellare l’atavica staticità delle classi ingabbiate da banchi disposti rigorosamente in file. Piuttosto bisognerebbe pensare a isole di apprendimento, dove gli studenti dovrebbero lavorare divisi in piccoli gruppi. Infatti, è risaputo che nelle discussioni di gruppo aumenta la capacità di apprendimento di circa il 50%, e addirittura dell’80% quando sono i compagni che diventano tutor aiutando gli altri ragazzi. 



Tutti gli strumenti della flessibilità didattica dovrebbero essere sperimentati in maniera continua. La scuola trasmissiva deve essere bandita definitivamente a favore della costruzione consapevole del sapere, del saper fare e del saper essere, dove l’insegnante assume un ruolo nuovo di mediatore e guida dell’apprendimento. E’ necessario quindi ripensare ad una nuova dimensione della professione docente, riqualificando chi è in servizio, in modo che sia competente nella gestione delle relazioni sociali e nella comunicazione efficace utilizzando al meglio le possibilità offerte dalle nuove tecnologie che le nuove generazioni utilizzano diffusamente. 

Non basta la scuola. Serve anche e soprattutto la famiglia. Va ridefinito il rapporto che i genitori hanno con i docenti e la scuola stessa. Senza fare eccessivi allarmismi, è risaputo che ovunque in Italia, dalle materne alle superiori, si registrano “aggressioni” di genitori agli insegnanti, compiute in difesa del “pargolo”, come reazione a brutti voti, richiami, note o bocciature. I genitori stanno diventando (ma questo è già ampiamente avvenuto) ultra protettivi nei confronti dei figli, spesso oltre ogni ragionevolezza. Si sentono legittimati a contestare, con esposti e segnalazioni, anche le scelte didattiche dei docenti.  

Credo che sia arrivato veramente il momento di fermarsi tutti e ripartire su basi nuove. Serve un rinnovato patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia, dove ognuno si assuma le proprie responsabilità e riconosca quelle dell’altro senza invasioni di campo. La conflittualità tra adulti e tra istituzioni educative non fa il bene dei nostri ragazzi! Molto si può fare in maniera autonoma nelle diverse realtà territoriali, ma indubbiamente qualche strumento normativo innovativo sarebbe di grande aiuto. A mio avviso questa è la vera emergenza educativa che tutti siamo chiamati ad affrontare nell’interesse esclusivo dei nostri figli, che in definitiva rappresentano il vero investimento per il nostro futuro.

E’ del tutto normale per i ragazzi avvertire fatica e sentirsi sotto stress. Si tratta di situazioni scatenate dalla scuola e dalle pressioni sociali. Tuttavia, lo stress può diventare un problema e portare a conseguenze negative quali ansia e depressione, se l’adolescente viene lasciato solo e non sa come farvi fronte in modo sano. È importante guidare l’adolescente e aiutarlo ad esprimere al meglio le proprie angosce, ansie, ma anche insegnargli a incanalare in qualche attività l’energia travolgente che porta in sé. Chi lo deve fare? Gli adulti responsabili: i genitori, la scuola, la società.

Bisogna incoraggiare i nostri ragazzi al sacrificio e al lavoro riconoscendo e valorizzando le loro esperienze e i loro progressi. Occorre ridare senso e significato allo studio. Come scriveva Antonio Gramsci, “occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza”.

Ci attende un percorso lungo e difficile, ma se ne siamo consapevoli e ci mettiamo in gioco sono sicuro che i risultati arriveranno e il prossimo rapporto dell’Oms ci restituirà degli adolescenti meno stressati.