Caro direttore,
abbiamo avuto modo di riflettere a lungo sul recente manifesto di oltre mille presidi italiani dal titolo “Liberare la scuola“. Ne abbiamo colto il tentativo generoso e preciso di mettere al centro della riflessione sulla scuola alcuni nodi significativi, per cercare soluzioni necessarie ad un lavoro fecondo. Non potevamo d’altra parte liberarci però dalla sensazione che in esso si accentui la lamentela e la rivendicazione, entrambe del tutto comprensibili, piuttosto che la proposta di una ricostruzione della comunità educante, intesa come uno spazio di incontro aperto e plurale. Il grande poeta tedesco, Johann Wolfgang von Goethe, impegnato nella ricostruzione della città di Weimar, in un suo discorso con Eckermann del 24 febbraio 1825 afferma: “il negativo è niente; se dico che ciò che è male è male, cosa ho guadagnato?



Paragonandole con il sistema scolastico tedesco per esempio riconosciamo ovviamente che molte delle richieste dei presidi italiani sono ragionevoli. Come cambiare le cose con una marea di impedimenti burocratici? Come assumersi la responsabilità per così tante persone, senza avere margini di azione per tante scuole fatiscenti? Come sperimentare in modo didattico libero di fronte a classi sempre più numerose? Come giungere ad una reale autoconsapevolezza del proprio ruolo sociale senza un adeguato riconoscimento che valorizzi il ruolo manageriale e pedagogico e senza uno stipendio corrispondente alle responsabilità assunte? In Germania per esempio un dirigente scolastico guadagna più del doppio di uno italiano. Come affrontare un lavoro in modo qualitativo se si è reggenti di più scuole, invece che dirigente di una sola? 



Il manifesto dei dirigenti scolastici non dichiara solamente un disagio, ma propone un documento costruttivo per liberare la scuola. Allo stesso tempo però ci chiediamo se non ci si aspetti in esso la libertà di azione dai politici come una sorte di deus ex machina. Nasce davvero da una rivendicazione politica la ricostruzione della comunità educativa? Il principio della sussidiarietà non richiede forse la fiducia che il rinnovamento di una situazione nasca dall’impegno sul posto in cui ci troviamo ad agire? In essa possiamo, pur con tutti i limiti burocratici e strutturali, mobilitare energie personali che portano a far sì che la scuola diventi un luogo di incontro aperto e plurale. Questa nuova realtà convincerà il mondo politico, più di ogni dichiarazione di disagio, della necessità di riforme strutturali. 



La scuola italiana ribolle. Di proteste e di entusiasmo coraggioso, di voglia di rimettersi in gioco, del cercare nuove strade e di costruire nuove relazioni attorno alla consapevolezza condivisa che la scuola sia il bene comune per eccellenza di qualsiasi territorio e comunità. I dirigenti scolastici devono e possono essere parte attiva di una scuola che guardi al futuro. 

L’esperienza milanese delle “Scuole aperte” come spazi culturali vivi risponde al Consiglio d’Europa che ha messo nero su bianco che “i beneficiari dei servizi pubblici devono entrare nella governance politica dei servizi e non solo essere interpellati per la customer satisfaction“. Questo significa rigenerare le comunità scolastiche con la partecipazione attiva e responsabile dei genitori attraverso associazioni che generino cultura e apprendimento significativo. C’è una scuola viva che deve essere accompagnata da dirigenti e insegnanti aperti alle persone e alle associazioni che desiderano incrementare i talenti dei ragazzi attraverso l’aiuto allo studio, le arti, la musica, la formazione di bande musicali e orchestre, gli orti e il teatro. Le scuole aperte sono un immenso patrimonio immobiliare che si mette a disposizione delle energie diffuse delle nostre periferie urbane, dei nostri paesi, dei nostri quartieri. 

La Scuola Aperta intende liberare l’istituzione scolastica e non ridurla ad un semplice nodo amministrativo e burocratico. Per far ciò è necessario dosare i “no” che si devono esprimere ad una riduzione della scuola a semplice apparato burocratico-amministrativo e volgerli in risposte affermative per conoscere, camminare insieme, educare ed educarci al vero, al bene, al bello.

Anche Goethe ha sentito la necessità di esprimere alcuni no netti nella sua vita, come spiega Hans Urs von Balthasar nel lungo capitolo dedicato al  poeta tedesco in Gloria; in primo luogo un no alla rivoluzione francese, che ha pensato di rinnovare la società senza uno spirito di sacrificio ed in forza di un materialismo appiattito, ma nessuno dei suoi no avrebbe convinto il duca di Weimar Carl August di chiedere proprio a quell’uomo di ricostruire la città di Weimar. Prima di tutti i suoi no in Goethe si intravede una concezione positiva dell’essere, che trova nell’esperienza stessa non solo il “materiale”, ma il “presupposto” per far si che una città o una scuola diventino uno spazio di incontro aperto e plurale. Uno spazio in cui i ragazzi, gli insegnanti, i presidi e gli altri attori della vita culturale di un quartiere o di una città vengono visti come “doni”, come un arricchimento, che non viene “fatto”, ma “generato”, perché tutto e tutti sono sempre espressione di quel primo atto generativo che è il dono dell’essere finito come tale.

“Il negativo è niente; se dico che ciò che è male è male, cosa ho guadagnato?” (Goethe), ma se testimoniamo ciò che è bene e quanto questo bene sia generato dall’infinito e ad esso voglia tornare, non toccheremo una corda del cuore di tutti, anche dei politici, che porterà ad un reale e fecondo impegno nella e per la scuola?