In che cosa si distingue l’azione educativa religiosa e cattolica della scuola pubblica paritaria da quella pubblica statale?

Non nella protezione socio-morale dalla droghe, dal bullismo violento o dal sesso precoce, non nel parlare anche di Gesù, non nell’attenzione alla storia del cristianesimo e della chiesa cattolica, non nell’affermazione di un orizzonte religioso di trascendenza; anche una scuola pubblica statale, seriamente laica, deve garantire tutto ciò. La differenza fondamentale è che la scuola pubblica statale ha quale finalità costitutiva la formazione del cittadino. La scuola cattolica forma la persona. La scuola di stato è nata quando lo Stato ha incominciato a costituirsi come apparato politico-amministrativo unitario, non più proprietà privata di un re o di un principe. Un processo convergente si è messo in movimento dal basso: si è passati dai sudditi, divisi per corporazioni, ceti, clan, ai cittadini. Di qui in avanti — tra Cinquecento e Seicento, soprattutto dopo la pace di Westfalia — gli Stati hanno avuto bisogno di “cittadini”. Le “persone” con tutta la varietà e ricchezza di determinazioni fisiche, psichiche, culturali singolari e irriducibili devono essere “piallate” e trasformate in cittadini uguali, nel cittadino medio. Le istituzioni scolastiche sono uno degli strumenti fondamentali di questa trasformazione della persona in cittadino.



Il cittadino ha due facce: quella della persona, che deve stare nel cono privato dell’ombra, e quella del cittadino, che viene esibita nell’arena pubblica. A controprova del legame stringente tra cittadinanza e istruzione sta il fatto che per tutta una fase storica, che in Italia dura fino al 1848, le questioni dell’istruzione pubblica afferiscono alle autorità di sicurezza interna — ai ministri degli interni —  e non ad un punto amministrativo specifico, quale per es. un dipartimento o ministero dell’educazione. Napoleone esplicita con assoluta chiarezza la posizione ideologica di fondo: “il mio scopo è quello di possedere uno strumento in grado di indirizzare le concezioni morali e politiche…”. E i giovani? “Non devono essere né troppo devoti né troppo scettici: essi debbono essere educati per adeguarsi alle condizioni della nazione e della società”. 



L’organizzazione del sistema statale di istruzione e della didattica sono rigorosamente conseguenti dal principio di cittadinanza quale principio costitutivo. Di qui il centralismo amministrativo, di qui i programmi, di qui la corrispondenza biunivoca classe di età-classe scolastica, di qui la parcellizzazione dei saperi, di qui il fordismo/taylorismo; di qui il docente come funzionario amministrativo dello Stato

Se la scuola di stato è fondata sul principio-cittadino, la scuola cattolica è fondata sul principio-persona. Nel primo caso, il sapere diviene istruzione; nel secondo diviene educazione intellettuale, affettiva, sentimentale, emozionale della persona, lungo i tre assi intrecciati e costitutivi della persona-nel-mondo: logos, eros, agape. Educare vuol dire far diventare liberi degli esseri umani — che non nascono liberi, se non giuridicamente, ma hanno inscritta la possibilità di diventare liberi — cioè capaci di assumersi responsabilità nel mondo e di rispondere dei propri atti. Dalla persona al cittadino.



Si tratta, beninteso, di schemi puri: nella realtà è difficile separare cittadino e persona, sapere come istruzione e sapere come sapienza e come processo educativo. Ma è tuttavia evidente che gli apparati educativi che conseguono ai due diversi principi sono differenti.

Fondarsi sul principio-persona significa, concretamente, l’attenzione alla singolarità, l’accompagnamento della persona da quando passa la soglia della scuola per la prima volta con in tasca il proprio portfolio, a quando costruisce sotto la guida di un tutor di un proprio piano di studi personalizzato, a quando incomincia a correre lungo le tappe del curriculum, che vuol dire, appunto, “corsa”. Personalizzare significa una nuova organizzazione del tempo di apprendimento e, pertanto, di insegnamento, non più per auditorium parcellizzati e seriali — le classi — ma per compattazione e riunificazione dei saperi, in pochi laboratorium. Significa spezzare la corrispondenza biunivoca tra classe biografica e classe scolastica.

Alla domanda “perché la scuola cattolica?” — in realtà articolazione e specificazione in campo educativo della domanda “perché la Chiesa?” — la risposta che si dovrebbe dare è che questa scuola coltiva la persona in tutte le sue dimensioni, fa vivere l’acquisizione del sapere come processo esistenziale, costruisce il curriculum ad personam, rivoluziona e demolisce l’organizzazione proto-industriale e fordista della didattica. Dal punto di vista culturale e intellettuale coltivare “il senso religioso” non significa fare catechesi, bensì “solo” tenere aperto un atteggiamento non onnipotente e non prepotente verso l’universo umano e verso quello naturale: un atteggiamento di finitudine. Solo la fede può compiere “il senso religioso”, ma questa non è il fine proprio della scuola cattolica. La scuola, nel suo piccolo, è “solo” un “ospedale da campo”.

(2 – continua. Leggi qui la prima parte)