Mi raccomando: quel giorno, quando all’esame orale toccherà a te, la sedia rimanga incollata alle tue chiappe. Vaga, maturando, da un professore all’altro impugnando i braccioli della sedia, che sarà tutt’uno con il tuo corpo, quando — così fan tutti — ti sposterai lungo la cattedra pronunciando la formula magica “comincio con italiano” e brandendo poi l’improprio verbo “portare” per sostenere che “porto Ungaretti” oppure “porto la figura della donna”.
Mentre porterai quel che porterai, è probabile (ma non è detto) che l’insegnante della materia selezionata ti ascolti, mentre a mezzo metro da te altre due insegnanti chiacchiereranno beatamente fra di loro collegando argomenti vari, e se il tuo turno capita dal terzo giorno in poi esse avranno raggiunto un tale livello di confidenza da mostrarsi spudoratamente sullo smartphone le foto delle proprie figlie sulle spiagge di Ibiza, tutto mentre tu stai portando “il tema del viaggio”. Intanto almeno un altro commissario continuerà a fingere di compilare non si sa bene quali registri e tra di loro girerà un foglietto in cui ognuno scrive se vuole il cornetto o l’espressino, e intorno a te il viavai di quello che ha cambiato idea e non vuole più il cornetto al cioccolato ma il cornetto Algida, ché oggi fa troppo caldo, e infatti dovrai fare presto a portare la guerra fredda, prima che il barista porti cose più fredde e interessanti delle tue.
A un certo punto qualsiasi – quando qualche insegnante mimerà inequivocabilmente l’orologio – dovrai pur fermarti e “passare” a un’altra materia: “ora volevo passare a inglese” dirai, oppure “beh, basta così, adesso passa a filosofia” ti diranno. Vagando per l’aula con la sedia saldamente inchiodata alle natiche e un libro casuale che, per assenza di mani a disposizione, stringerai sotto l’ascella putrida di inizio luglio mentre il foglio del percorso si assesta in bocca, cercherai invano “quello di scienze”, che fino all’istante prima giocava placidamente a Candy Crush e a cui tu vorresti propinare l’illuminante collegamento tra guerra fredda e temperatura basale, e ti accorgerai che purtroppo se n’è andato in bagno giusto in quel momento, e allora quella di matematica gracchierà un “vieni, vieni, facciamo i logaritmi”. Il tutto in un clima talmente rumoroso, in un ciarlare così continuo e pettegolo che se due alunni si permettessero di fare altrettanto in classe perlomeno dovrebbero sorbirsi un interminabile predicozzo sulla questione di rispetto perché un altro sta parlando eccetera eccetera eccetera.
Tu, mi raccomando, non ti curar di lor ma porta e passa. Vai a prenderti il voto che già predestinarono per te allo scrutinio del terzo anno a prescindere dalle tue prove d’esame, con le sole variabili degli sbalzi d’umore, del caldo, se sei il primo o l’ultimo della mattinata, se due commissari hanno appena litigato o si sono appena rappacificati a suon di cornetti.
Tu insisti, allora, e mentre porti il tema della maschere indossa la maschera che ti hanno cucito addosso. Copia la seconda prova che altrimenti non sapresti nemmeno capire da quello stesso insegnante che non ti ha messo nelle condizioni di capirla, e poi concorda le domande dell’orale con l’interno che si vanterà di difendervi e di cui scoprirai la reale cattiveria solo il giorno dei test d’ingresso universitari.
Fai anche tu il foglietto con le freccine colorate in cui ti avventuri a collegare 9 materie, e guai se ti chiedi perché mai bisogna fare così. Illuditi di essere intelligente quando avrai trovato il collegamento, e spera che non si insinui mai in te il desiderio di conoscere veramente quelle cose. Stampa anche tu una delle centomila vite di Pirandello scopiazzate, in modo da convincerti che anche tu sei nessuno e non hai neanche un pensiero veramente tuo. Non ti venga in mente di leggere qualche suo romanzo: potrai così farti invitare in futuro a una puntata della Domenica sportiva e parlare per cinque minuti proprio di una determinata partita che hai scelto tu stesso di commentare ma che non hai mai visto. Se poi vuoi portare la figura della donna, una paginetta di Wikipedia su una certa Matilde Serao di cui al momento ignori l’esistenza andrebbe benissimo, te l’ha suggerito la tua ottima docente di lettere antinvalsi.
Del resto, anche se i collegamenti avessero un senso (ma non ne hanno) e anche se non fossero ridicoli (ma lo sono) e anche se fossero richiesti dalla normativa degli esami (ma non lo sono), sappi che è proprio matematicamente impossibile che quel giorno tu possa collegare davvero 9 materie: prima che ti interroghino sui programmi, avrai a disposizione un quarto d’ora, e ti ci vorrebbe un minuto e quaranta a materia (avete fatto questo semplice calcolo?), ma questo non succederà mai. Ti fermeranno dopo due collegamenti, e buonanotte agli altri sette: anzi, proprio perché porti Wilde nel percorso, ti chiederanno invece Joyce. Gli insegnanti lo sanno benissimo, eppure ogni anno se lo dimenticano fino alla fine di giugno, in preda a quel bipensiero che varcata la porta dell’aula li rende esigenti raccoglitori di percorsi con freccette mentre fuori si lamentano di questi collegamenti sempre gli stessi che basta non ce la faccio più è tutta colpa di Renzi.
Ovviamente, collegare d’Annunzio con il fascismo sanno farlo tutti: è leggere Alcyone che è tutt’altra cosa. Parlare di un argomento qualsiasi di ogni materia, di cui in fondo non importa niente a te né a nessuno, lo sanno fare tutti: è parlare di una sola questione, che veramente ti sta a cuore, che è un’altra cosa. Parlare della libertà, e che ci vuole? è sentirsi liberi studiando che è un’altra cosa.
Perché stressarsi o fregarsene, questo succede a tutti: godersela, è un’altra cosa. E incollare le natiche alla sedia è quel che faranno tutti: incollare gli occhi degli insegnanti a te che parli, questa sarebbe proprio un’altra cosa. Portare, passare, collegare, questo lo sanno fare tutti: è stupirsi, appassionarsi, personalizzare che è un’altra cosa. Tutti passano, restare indimenticabili è un’altra cosa. Tutti collegano le materie: è sentire quanto siano collegate quelle materie con la tua vita che è un’altra cosa. Fare il bravo maturando lo sanno fare tutti, è essere se stessi che è un’altra cosa.