I recenti ripetuti episodi, in alcune parti d’Italia, di attacchi da parte di alcuni genitori nei confronti di docenti e presidi non possono essere lasciati passare sotto silenzio. Perché dicono tante cose: dalla crisi della famiglia alla pretesa che la scuola ricopra quel ruolo educativo a tutto tondo che, invece, deve rimanere di diretta responsabilità dei genitori.
A scuola si parla molto, giustamente, degli studenti, delle nuove generazioni, delle nuove domande, di speranze e di valori, eccetera, cioè di futuro, sapendo bene la gravità del momento. Ma poco si parla dei genitori. Nel senso delle nuove generazioni di genitori.
A parte un certo utilitarismo, cioè la mera richiesta dei voti dei propri figli, i genitori oggi, in alcune scuole, sono i grandi assenti. Solo piccole minoranze vanno oltre i voti in pagella. Guardando il panorama generale, direi che prevale, sul piano formativo, una sorta di delega in bianco. Non tutti, ma tanti sì.
Invece il vero toccasana di ogni scuola è la loro presenza attiva. Non è un caso che anche il sistema scolastico si debba ripensare in termini di “rendicontazione sociale”. Con nuove attenzioni, nuova governance e nuove risorse. Mentre oggi, senza l’aiuto dei genitori, anche finanziario, le scuole potrebbero, quasi, chiudere i battenti, a livello di costi di gestione e di organizzazione. La loro partecipazione alla vita della scuola come “sistema educativo”, quindi, è fondamentale, imprescindibile. Per questo motivo tutte le scuole dovrebbero rendere trasparente, nella forma del “bilancio sociale”, il loro servizio pubblico, in relazione alla richiesta di qualità cioè del servizio agli studenti e al contesto sociale. Oltre la vecchia autoreferenza, difesa ancora oggi, purtroppo, a livello sindacale. Perché le scuole non sono dei presidi e dei docenti, ma per gli studenti, per il loro futuro.
Ritornando agli episodi di attacco a presidi e docenti, vedo che troppi genitori si limitano a fare i sindacalisti dei propri figli. Si limitano cioè a richiedere alla scuola una prestazione, più che apprezzare lo sfondo educativo, cioè cosa vuol dire “accompagnare” un giovane alla maturazione personale e sociale.
Lo sappiamo, le famiglie sono su tanti aspetti in crisi. Anzitutto come istituzione, cioè come autorità e autorevolezza, poi come relazione educativa. Lo si vede da quell’aria, in troppi ragazzi e ragazze, di presunta autosufficienza, che preoccupa i loro “vecchi”. E allora la scuola diventa l’ultima spiaggia, l’ultima possibilità per un recupero di dialogo in casa.
Questo fa da pendant al fatto che, in troppi casi, prevale il modello del “genitore-chioccia”, causa, ce lo dicono diversi studi, di tante ansie che vengono poi scaricate sui propri figli. Quanti genitori fanno confronti esagerati tra le valutazioni del proprio figlio e quelle di un compagno, invocando la giustizia tradita? Non è per tutti così, ma sono sempre troppi.
In poche parole, le nuove generazioni di mamme e papà tendono ad essere iper-protettive: quanti ragazzi, proprio per questo, non riescono ad affrontare e superare le situazioni di paura, di conflitto, di difficoltà? Ogni anno impegno intere giornate a spiegare ai genitori che un’insufficienza, anche una bocciatura, non è un dramma infinito, ma un momento che richiede nuova convinzione ed energia positiva. “Nessuno nasce imparato”, ripeteva Totò.
Un recente studio australiano ha parlato di “genitori-elicottero”, in inglese “helicopter parenting”. Si tratta cioè di quei genitori che, proprio come gli elicotteri, “ronzano” di continuo sopra la testa, sopra la vita dei propri figli. Quindi una presenza, non solo fisica ma soprattutto psicologica, esagerata, tale da perdere il riferimento alle cose veramente essenziali della vita dei figli.
Proviamo a fare una verifica: chi sveglia ogni mattina i propri figli per andare a scuola, perché non arrivino in ritardo? Chi si è accorto che il telefonino è il “cordone ombelicale più lungo del mondo”? Tutti questi comportamenti, come è ovvio, hanno delle conseguenze. L’eccessivo protezionismo produce ansia, insicurezza, dipendenza; di converso, prima o poi, produce ribellione, ricerca del limite, anche trasgressione. La “giusta misura” invece si chiama “autonomia responsabile”, cammino, cioè, verso la maturazione, quindi il sano protagonismo, il coraggio dei propri talenti, la fiducia in se stessi e nelle mille relazioni.
Quanti genitori a scuola, ad esempio, intervengono oltre misura sui docenti, sulle loro valutazioni e programmazioni? Basterebbe chiedere se, al loro posto di lavoro, sarebbero disposti ad accettare volentieri non sempre giustificate e competenti intromissioni. Se certe cose non vanno, ovviamente, è giusto rilevarle. Ma educare i figli anche alla comprensione di queste complessità, anche alle contraddizioni, non è mai tempo perso.
I genitori sanno, o dovrebbero sapere, che è fondamentale tenere sempre un passo indietro nei confronti dei propri figli. Nel senso di una presenza discreta, non troppo distaccata, ma nemmeno troppo pressante. I ragazzi, cioè, vanno aiutati anche a sbagliare, perché è solo sbagliando, ce lo ripetiamo spesso a scuola, che si impara, che nasce la ricerca del perché dell’errore, e quindi della verità a partire dalla quale l’errore è errore. Vanno aiutati a non avere paura degli imprevisti, dell’ignoto, degli insuccessi. Così maturano più in fretta, nel senso di consapevolezza di sé e degli altri, dei “pari”, cioè delle infinite relazioni.